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Così Fan Tutte alla Fenice di Venezia

Che sia spietato cinismo o razionalismo portato alle estreme conseguenze poco importa. Nel Così Fan Tutte tutto è come dev’essere e tutto risponde a un disegno geometrico e razionale, finanche le ragioni del cuore. Le relazioni interpersonali si piegano a un disegno prestabilito ed ineludibile, quasi un assioma dei rapporti amorosi cui devono inchinarsi, loro malgrado, gli ingenui protagonisti. C’è la ragione spietata a svelare la natura delle cose e degli uomini e gli uomini che cercano di ingannare sé stessi e gli altri fingendo di non sapere quale sia la logica conseguenza verso cui tutto evolve. La ragione del pragmatico cinismo di Alfonso e Despina è un’arma potentissima da maneggiare con cautela, è una bomba che una volta innescata non lascia via di scampo distruggendo irrimediabilmente le vite affettive dei protagonisti. C’è tanto settecento insomma in questo Mozart-Da Ponte. C’è Kant, l’illuminismo, c’è la cieca fiducia nella forza dell’intelletto, il tutto filtrato attraverso quella cruda ironia tipicamente dapontiana e poi c’è la menzogna o meglio la finzione quasi consolatoria, rassicurante.

Evidentemente il regista Damiano Michieletto, giunto alla tappa conclusiva della trilogia mozartiana, non crede alla possibilità di rimedio per gli amanti ingannati, il tradimento non può essere superato dall’accettazione delle verità rivelate di Alfonso. In questo senso potremmo definire la lettura di Michieletto pessimistica nel caso specifico della vicenda, non terminando con il perdono collettivo ma decisamente positiva inquadrando la vicenda in un’ottica più ampia. Rimane infatti la speranza che gli uomini, o l’umanità in senso lato, sappiano rinunciare alla facile via del cinismo, alla prona accettazione del “così fan tutte” perché in fondo convinti che ci sia un senso etico superiore all’istinto di natura. In questo senso la zuffa tutti-contro-tutti che chiude l’opera lascia in bocca un sapore dolce, una speranza nuova. Non serve poi ricordare quanto sia tecnicamente bravo Michieletto nel muovere gli artisti in scena come nel saper trovare corrispondenza perfetta tra ogni frase musicale e l’immagine teatrale evocata.

Il bellissimo impianto scenico curato da Paolo Fantin si serviva della medesima piattaforma girevole utilizzata per Don Giovanni e Le Nozze di Figaro, nel caso specifico trasformata in un lussuoso hotel nei cui ambienti si dipanano le trame ordite dal direttore Alfonso ai danni dei clienti. Le sorelle ferraresi sono due frivole ragazze (due shopping addicted, si direbbe) che sembrano uscite da un telefilm americano, Guglielmo e Ferrando due surfisti tamarri, Don Alfonso un viveur con la debolezza per l’alcol e le donne. In un simile contesto di spiazzante superficialità si sviluppa lentamente l’amara consapevolezza dei protagonisti di quanto possa essere pericoloso giocare con i sentimenti.

Il cast si disimpegnava con merito sia sul versante musicale che attoriale. Maria Bengtsson disegnava un’eccellente Fiordiligi, bella ed ottimamente cantata, commovente nella grande aria del secondo atto in cui ha sfoggiato impalpabili pianissimi e perfetta linea di canto. Josè Maria Lo Monaco portava in scena una Dorabella spigliata, sensuale, ben calibrata nella vocalità come nella recitazione. Markus Werba dopo aver vestito i panni di Don Giovanni e del Conte dimostrava ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, una particolare affinità par il canto mozartiano offrendo un Guglielmo giovanile ed esuberante. Marlin Miller, Ferrando, risultava meno convincente a causa di alcuni problemi di intonazione ed alcune tensioni in zona acuta che evidenziavano un imperfetto controllo del fiato. Diversamente solo elogi possono essere spesi per lo spietato Alfonso di Andrea Concetti come per la Despina frizzante ed ironica di Caterina Di Tonno.

Stefano Montanari, subentrato ad Antonello Manacorda, offriva un’eccellente interpretazione del lavoro mozartiano. Una direzione asciutta e nevrotica la sua, trepidante pur senza rinunciare al velluto nei momenti elegiaci, perfettamente inquadrata nel contesto. Buona la prova di coro e orchestra del teatro la Fenice.

Paolo Locatelli
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About Paolo Locatelli

Giornalista e critico musicale.

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