Piero Paviotti ha iniziato la carriera politica a Cervignano del Friuli come assessore alla cultura, sport e istruzione dal 1990 al 1993; quindi vicesindaco dal 1993 al 2002 con deleghe a lavori pubblici, urbanistica, ambiente, attività produttive; nel 2002 viene eletto sindaco, carica che ricoprirà fino alla primavera 2012. Abbiamo scelto questa importante figura della politica friulana per un discorso su amministrazione, politica e futuro dell’economia in occasione della fine del suo secondo mandato da sindaco di Cervignano del Friuli.
Dieci anni sindaco, nove da vice sindaco, 3 da assessore. Si ricorda dei momenti particolari in cui ha capito il significato e l’importanza del suo ruolo?
Gli episodi che posso ricordare sono evidentemente diversi; rimangono però impressi nella memoria quelli che sono stati più difficili da affrontare e risolvere, quelli che hanno richiesto un impegno straordinario anche (soprattutto) dal punto di vista emotivo. Ciò che infatti risulta difficile per un politico è fare scelte coraggiose che, a una prima lettura, possono risultare anche impopolari perché non facili da comprendere. E tuttavia se chi esercita la responsabilità è convinto di interpretare bene l’interesse pubblico è doveroso che egli sostenga e porti avanti la propria idea, il tempo poi dirà se aveva ragione oppure no, con tutte le conseguenze del caso. In questo senso potrei citare i lavori di ristrutturazione della casa di riposo (primi anni 90, ero da poco assessore ai Lavori Pubblici). Proposi allora di evitare un intervento di “minima” che avrebbe accontentato tutti sul momento ma lasciato inalterato i problemi della struttura (vecchia e fatiscente) e puntare invece su una ristrutturazione completa. Questo scelta ha richiesto evidentemente una spesa molto maggiore oltre che tempi di realizzazione più lunghi. Ci furono quindi grandi polemiche e attacchi feroci all’assessore (incompetente e insensibile al dolore degli anziani parcheggiati in altra struttura) ma poi, quando abbiamo finito e si è potuto apprezzare il buon lavoro fatto, quando tutti hanno potuto vedere e toccare con mano che i sacrifici dell’attesa erano semplicemente necessari, e quando tutti (a quel punto) hanno sostenuto che “ne valeva la pena”, allora senti di aver fatto la cosa giusta e di aver fatto bene il tuo lavoro. Dopodiché mi piace ricordare una pluralità di opere e di servizi che hanno caratterizzato questi vent’anni, assieme naturalmente al sindaco che mi ha preceduto (Mauro Travanut) e a tutti i colleghi e amici della lista “il ponte”, dalla realizzazione del “teatro Pasolini” alla nuova “biblioteca centro civico”, la “casa della musica”, l’asilo nido. Ma anche l’impegno nel sociale rivolto ad una pluralità di persone che richiedevano un sostegno, dai minori agli anziani, passando attraverso un problema molto attuale che è quello del mondo giovanile, dell’adolescenza e di una società nella quale emerge una forte crisi della genitorialità.
Quali sono, secondo lei, le doti necessarie per amministrare la cosa pubblica?
Un amministratore pubblico deve innanzitutto appassionarsi all’attività nella quale ha deciso di cimentarsi, dedicando tempo ed energie, senza risparmiarsi. Io sostengo che chi decide di fare politica deve anche essere un po’ ambizioso e un tantino presuntuoso, avere intuito e saper decidere, tutte qualità che, entro certi limiti, sono necessarie per affrontare questo lavoro. Inoltre la mente deve essere duttile per poter affrontare temi tutti altrettanto importanti ma anche molto diversi. Parliamo infatti di sociale e sanitario, di opere pubbliche e programmazione urbanistica, di sport e di cultura, di sviluppo economico e di ambiente. Evidentemente una serie di materie molto vaste. Aggiungiamo che il politico non è un tecnico e non deve fare il tecnico ma deve saper affrontare questi temi guardando agli obiettivi di carattere generale e strategico che si vogliono raggiungere; è anche evidente però che il politico non può prescindere da un supporto tecnico adeguato e in questo senso è necessario saper scegliere dei collaboratori bravi e competenti, con i quali confrontarsi per capire meglio gli argomenti e fare scelte corrette.
Cosa pensa del concetto di “governo tecnico”? Tecnocrazia o giusta competenza?
E’ una distinzione di cui si parla spesso soprattutto in questo periodo nel quale la politica, o meglio i partiti, hanno fatto un passo indietro e chiamato a governare una squadra di persone che provengono da diverse aree professionali della società e non dal normale reclutamento del personale politico. E tuttavia io credo che Mario Monti stia affrontando il suo mandato comportandosi proprio da politico e non da tecnico. Significa che la sua visione non è confinata nel ritretto recinto delle sue competenze di carattere scientifico ma che è capace di affrontare i problemi nella loro più vasta complessità. Sa dialogare con i media e sa parlare ai cittadini. Riesce ad essere convincente ed anche rassicurante, in questo senso egli riesce a proporre norme anche molto dure ma spiegandone le motivazioni ai cittadini i quali le accettano perché ne capiscono (e spesso condividono) la motivazione. Questo significa che la definizione di “tecnico” o di “politico” non può essere affibbiata in modo superficiale o sulla base di assunti predeterminati. E’ peraltro evidente che noi vivamo un momento particolare nel quale la politica non è stato in grado di affrontare i probblemi ed ha dovuto abdicare (speriamo solo per un periodo) prendendosi una pausa che permetta di affrontare temi complicati ma importanti senza quella conflittualità che, di fatto, ha bloccato il paese.
Cosa pensa della riforma dell’organizzazione interna della Provincia con più potere ai comuni?
Sono tra quelli che pensano che le Province possano tranquillamente essere abolite e che le loro funzioni possano essere assorbite dalla Regione e dai comuni organizzati però in forma associata. Esiste infatti la necessità di rivedere anche l’organizzazione amministrativa oltre che l’attività programmatoria dei comuni i quali non potranno continuare a gestire servizi e programmazione per un territorio ed una popolazione troppo limitati; in questo senso è auspicabile che, pur mantenendo ognuno la propria identità, l’organizzazione tecnica e burocratica sia realizzata su un territorio e una popolazione più ampia. In questo senso ricordiamo che le Leggi regionali favoriscono la nascita di forme associate di comuni e che diverse esperienze sono in atto tra cui anche nella bassa friulana dove i comuni di Cervignano, Terzo d’Aquileia, Aquileia, Villa Vicentina, Ruda e Campolongo Tapogliano lavorano da anni assieme e organizzano i servizi in forma associata (vigili urbani, personale, tributi, commercio, informatica) ma investono anche per nuovi servizi di tipo territoriale. Un esempio su tutti è il nuovo impianto di cremazione che assieme abbiamo deciso di fare per rispondere alle esigenze della popolazione e che entrerà in funzione alla fine del 2012. Penso dunque che debba continuare ad esistere la Regione ed i comuni e che le funzioni intermedie siano di competenza di queste forme associative che non hanno costi aggiuntivi perché l’indirizzo politico spetta agli stessi sindaci e il lavoro tecnico è svolto dai dipendenti dei comuni.
Che ruolo avranno le piccole realtà locali e le tradizioni in un mondo globalizzato?
Le piccole realtà, con le loro tradizioni, i propri usi e costumi, possono e debbono continuare ad essere presenti, dipende principalmente dalle persone che vivono in queste realtà e dal desiderio che queste hanno di custodire la loro storia e di tutelarla in modo intelligente che significa, a mio parere, evitando di rinchiudersi in una sorta di fortilizio identitario. Per questo io non credo nell’utilità di una contrapposizione ideologica tra il globale e il locale. E’ evidente infatti che l’uomo è naturalmente portato ad evolvere, a muoversi, a ricercare nuove strade, nuovi linguaggi, nuove opportunità e tutto questo non può essere visto come un fatto negativo. D’altronde dobbiamo sempre ricordare che siamo stati un popolo di emigranti che ha contribuito a costruire nuove culture e nuove identità in tutto il mondo. Possiamo certo capire che una trasformazione molto forte della società, lo sviluppo straordinario di nuove economie e lo spostamento di parti di popolazioni che fino a pochi anni erano distanti e sconosciute possano creare paure e disorientamento nei nostri cittadini. Tuttavia è sbagliato e controproducente cavalcare (ed alimentare) queste paure. Il compito del politico serio è invece quello di governare questi processi e trovare soluzioni ragionevoli in grado di rassicurare e tutelare tutti i cittadini favorendo politiche di integrazione e di inclusione sociale. Aggiungo che, probabilmente, molte piccole realtà anche della nostra regione potranno continuare ad esistere e a tutelare le proprie radici proprio grazie all’arrivo di nuovi cittadini che provengono da altre realtà.
Intervista di Federico Gangi
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