Sono trascorsi ormai più di cinque anni dalla scomparsa di Laszlo Szoke, calciatore dell’Udinese negli anni ’50. Per me era “zio Lazy”. Aveva infatti sposato Cornelia Bertoli, sorella di mia madre, conosciuta durante un ritiro della squadra ad Arta Terme.
Nato a Budapest nel 1930, scelse ancora ragazzo l’espatrio per cercare fortuna calcistica all’estero. Fu notato dai dirigenti del “Grande Torino” e nel 1952, dopo aver giocato in Colombia, al Racing di Parigi e in alcune squadre italiane, approdò all’Udinese allora presieduto da Dino Bruseschi da poco subentrato a Giuseppe Bertoli. Vestì la maglia bianconera per tre stagioni nel ruolo di mezzala compreso il campionato 1954/55 in cui l’Udinese si classificò al secondo posto dietro al Milan di Schiaffino e Nordahl.
Molti ricordi mi legano alla figura di mio zio Lazy, e spesso la mia mente rivive momenti veramente entusiasmanti per chi, come me, ha sempre amato il calcio.
Per molti anni ci recammo insieme allo stadio a seguire le partite dell’Udinese. Abitavamo a pochi metri di distanza, a Molin Nuovo, nella prima campagna a ridosso della città. Mi aspettava puntuale un’ora prima della partita in fondo alla stradina bianca che univa le nostre abitazioni, io fermavo l’auto, lui saliva e via di corsa allo stadio. Erano anni di grande entusiasmo per i colori bianconeri, in particolare gli anni ’90 quando l’Udinese, guidata da Alberto Zaccheroni, si mise in luce con un gioco spumeggiante e fantasioso e con dei risultati quasi impensabili.
In una freddissima domenica d’inverno mi presentai al solito appuntamento domenicale tutto bardato con sciarpa, cappellino, giacca a vento e guanti e mi fece un certo effetto vederlo in fondo alla stradina con addosso solamente un maglioncino di lana dal collo alto e una giacca tinta cammello. Niente cappotto, niente guanti, niente sciarpa.
“Non ti preoccupare, ho il fisico di uno sciamano ungherese” – mi diceva – “non mi serve il cappotto”.
Un’altra domenica in fondo alla stradina mio zio mi aspettava insieme a un’altra persona. Fermai come sempre la vettura, Lazy salì davanti e nel sedile posteriore si accomodò il suo ospite, un distinto signore biondo che parlava bene l’inglese.
“Caro nipote oggi ti ho fatto una bella sorpresa! Ti presento Arne Selmosson, mio ex compagno di squadra nell’Udinese, un grande campione.
Quel distinto signore che negli anni ’50 era soprannominato “Raggio di luna” per i suoi riflessi biondastri, mi diede subito l’idea di un calciatore/galantuomo dai buoni piedi e, con il mio inglese appena passabile, scambiai alcuni commenti sulla formazione bianconera attuale e sul calcio “moderno”. Mi ricordo che l’Udinese quella domenica, come succedeva spesso in quel periodo, vinse con grande merito e al ritorno Selmosson sembrò molto soddisfatto. Forse la sua mente era tornata agli anni in cui la stessa maglia bianconera, da lui indossata portò l’Udinese al secondo posto nel campionato di serie A, un ricordo indelebile nella memoria storica di molti tifosi friulani.
Alcuni anni prima mio zio mi fece un’altra gradita sorpresa. Io ero un ragazzino. Entrò in casa bussando e mi disse:
“Prepara quattro bicchieri e una buona bottiglia di vino bianco fresco. Arrivano dei miei amici a trovarmi.”
Dalla solita stradina arrivò nell’ampio cortile di ghiaia davanti casa un’auto scura di grossa cilindrata e scesero alcune persone tra le quali riconobbi subito Gigi Radice, allora allenatore del Torino. La squadra era diretta in Yugoslavia per disputare una partita di Coppa. Gigi Radice colse l’occasione per fermarsi in Friuli a salutare il suo vecchio amico Lazy. Fu un pomeriggio intenso in cui gli “adulti” parlarono a lungo dei tempi passati e degli incredibili successi del Torino del tempo. Io ero assolutamente rapito da questi discorsi e dalla straordinaria personalità di Gigi Radice, uomo molto simpatico e grande conoscitore di calcio.
Pochi giorni prima avevo seguito una sua intervista in televisione in un’importante rubrica sportiva, ed ora era lì, nel salotto di casa a sorseggiare del buon vino friulano insieme a mio zio. Quell’incontro mi riempì d’orgoglio e di gioia. Ringraziai Lazy per molto tempo.
In fondo alla stradina bianca sono rimasti molti ricordi e l’immagine ancora viva di un atleta senza cappotto, dal forte fisico, definito da Bruno Pizzul in un bellissimo articolo ”giocatore di razza”.
Io aggiungo: “Uno zio veramente speciale”.
Emanuele Casamassima