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La filosofia come arte e terapia

La filosofia come arte e terapia

Seneca: «Gallione, fratello mio, tutti aspiriamo alla felicità, ma, quanto a conoscerne la via, brancoliamo come nelle tenebre. È infatti così difficile raggiungerla che più ci affanniamo a cercarla, più ce ne allontaniamo, se prendiamo una strada sbagliata; e se questa, poi, conduce addirittura in una direzione contraria …» (L’ arte di essere felici SENECA).


Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788, Polonia da una famiglia di commercianti e banchieri. Suo padre (era anche scrittore) muore suicida nel 1805 (Arthur aveva 17 anni) lasciandogli una sostanziosa eredità mentre sua madre, Johanna Henriette Trosiener coltiva la letteratura scrive romanzi. e tiene a Weimar un importante salotto letterario, frequentato da poeti come Göethe e Wieland, che ebbero un certo influsso sul giovane Arthur. Nel 1809 s’iscrive alla facoltà di medicina dell’università di Gottinga, per passare presto, a quella di filosofia. La sua formazione filosofica fu influenzata dallo studio di Platone e di Kant, che rimarranno, infatti, al centro della sua riflessione. Schopenhauer è stato il primo filosofo occidentale a recuperare le filosofie orientali verso le quali nutriva grande ammirazione. Una grande influenza di Schopenhauer era la filosofia indiana in base alla quale il mondo sensibile sarebbe essenzialmente ingannevole e deformante. Da queste civiltà tanto distanti dall’Occidente e dall’India in particolare Schopenhauer desume due concetti basilari nella sua filosofia: il velo di Maya e il Nirvana. Arthur Schopenhauer vede il plenilunio delle contraddizioni della vita, vede la certezza della ricompensa, vede questo soffio invisibile della volontà e insieme la fantasia che tenta di interpretare l’ enigma della vita, anche a lunga scadenza la verità non ha importanza, perché ciascuno ha determinati limiti di sensibilità oltre i quali non esiste il vero o il falso.

Perché la realtà si vendica la vita? Arthur Schopenhauer scrisse: «Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.»(Arthur Schopenhauer, capitolo XXI Parerga e Paralipomena). La giusta distanza e la medietà nella costruzione della vita dirà Arthur Schopenhauer, questo è l’ affascinante amaro gioco della vita.

Nelle crepe della vita esiste la metafora dell’uomo: «Un uomo ricco di spirito, in perfetta solitudine, s’intrattiene in modo eccellente con i suoi pensieri e le sue fantasie, mentre un uomo ottuso si annoia nonostante un continuo avvicendarsi di spettacoli, feste ed escursioni.» [1] Finalmente il mondo si trova oltre le forze umane: «Un carattere buono, moderato e mite può essere soddisfatto anche in circostanze molto misere, mentre un carattere malvagio, avido e invidioso non lo è nemmeno con ogni ricchezza possibile.» Nella particolare sensazione la verità non ha importanza. «Un uomo deve pure sapere ciò che vuole e sapere ciò che può: solo così mostrerà carattere, e solo allora potrà compiere qualcosa di buono.» La vita infine è il passaggio del desiderio. «Un uomo non si sente affatto privato dei beni ai quali non si è mai sognato di aspirare, ma è pienamente contento anche senza di essi, mentre un altro che possegga cento volte di più del primo si sente infelice quando gli manca una sola cosa da lui voluta.»

La potenza sempre difenda la follia e cerca la saggezza. «Molti ricchi sono infelici perché sono ignoranti, eppure di regola ciascuno si preoccupa più di acquisire che di educarsi, senza rendersi conto che ciò che si è contribuisce alla felicità molto più di ciò che si ha!»

Perché la vita, il sogno, e la preparazione è una prontezza creativa: «Noi rassomigliamo agli elefanti catturati, che per molti giorni orribilmente strepitano e lottano, finchè non vedono che ciò è inutile, e allora, improvvisamente ammansiti, offrono il collo al giogo, domati per sempre. Siamo come il re Davide, il quale, fintanto che il figlio viveva ancora, investiva incessantemente Jehovah con preghiere e si agitava disperatamente , ma, non appena il figlio fu morto, non ci pensò più. Ai drammatici eventi della vita sempre esiste il cenno d’assenso: «Non manifestare grande giubilo o grande afflizione riguardo ad alcun avvenimento, poiché la mutevolezza di tutte le cose può in ogni istante trasformarlo completamente; assaporare piuttosto in ogni momento il presente nel modo più sereno possibile: questa è saggezza di vita.»

Cerchiamo la certezza della ricompensa ? «Colui che mantiene la calma in tutte le avversità della vita mostra semplicemente di sapere quanto immensi e molteplici siano i possibili mali della vita, sicchè egli considera il male presente come una parte minima di ciò che potrebbe capitargli. Viceversa, chi è consapevole di questo fatto e ci riflette non perderà mai la calma. All’s well that ends well [Tutto è bene quel che finisce bene, W.Shakespeare]»

Chi ha detto, che la vita è un’argomentazione? «Ci si guadagna molto di più se si impiegano le proprie forze nell’educazione della propria personalità, anziché investirle nell’acquisizione di beni di fortuna. Soltanto che quest’ultima non deve venire mai trascurata al punto di condurci in miseria.» La vita è il migliore sonnifero: «Nella vita è come nel gioco degli scacchi: in entrambi i casi facciamo, è vero, un piano, ma esso rimane assolutamente condizionato da ciò che avranno voglia di fare l’avversario negli scacchi e nella vita il destino. Le modificazioni che ne derivano sono per lo più talmente significative che in fase di realizzazione il nostro piano sarà appena riconoscibile in alcune linee fondamentali.» Sempre esiste questo non ancora e tuttavia si: «Spesso un’invidia ingiustamente l’altro per via di qualche avvenimento interessante della sua vita, mentre dovrebbe invidiarlo per la ricettività in virtù della quale tali avvenimenti appaiono così interessanti nella sua descrizione. Il medesimo avvenimento che, capitando a un genio, risulta sommamente interessante, in una testa vuota sarebbe diventato una scena insignificante tratta dal mondo quotidiano. Allo stesso modo per il melanconico è già una scena tragica ciò che per il flemmatico e il sanguigno lo è molto meno. Dovremmo quindi mirare meno al possesso di beni esteriori che al mantenimento di un temperamento sereno e felice e di un sano buonsenso, i quali dipendono in gran parte dalla salute: mens sana in corpore sano [Sana la mente in corpo sano, Giovenale – Satire, IV, 10 ]».

La felicità può esprimere questo soffio invisibile? «Ne risulta chiaramente quanto la nostra felicità dipenda da ciò che siamo, dalla nostra individualità, mentre per lo più si tiene conto solo del nostro destino e di ciò che abbiamo. Il destino può diventare migliore e la moderazione non pretende molto da esso, ma un babbeo rimane un babbeo e un ottuso gaglioffo un ottuso gaglioffo per tutta l’eternità, fosse egli in paradiso circondato da urì. La personalità è la felicità più alta.»

Ha ancora un senso l’ educazione? «L’educazione deve essere adatta all’individualità: molto sapere rende l’uomo comune e limitato ancora più stupido, inetto e insopportabile; viceversa, la mente fuori del comune giunge ad apprezzare la propria individualità solo mediante l’acquisizione delle conoscenze che le si confanno.»

Appunti:

[1] Gli estratti sono dal libro di Arthur Schopenhauer: «L’ arte di essere felici» Edito da Adelphi 2002. Traduzione di Giovanni Gurisatti.

Apostolos Apostolou

Docente di Filosofia.

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