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L’Ultimo Paradiso: la recensione del film interpretato, scritto e prodotto da Riccardo Scamarcio

L’Ultimo Paradiso: la recensione del film interpretato, scritto e prodotto da Riccardo Scamarcio

L’Ultimo

 

Disponibile dal 5 febbraio su Netflix, questo film è diretto da Rocco Ricciardulli, che ne ha scritto la sceneggiatura assieme allo stesso Scamarcio. La pellicola è ispirata da una storia realmente accaduta, e ci porta nel Sud rurale degli anni Cinquanta.

Un ambiente arretrato, chiuso, patriarcale, nel quale i contadini devono sgobbare come muli per un tozzo di pane, inchinandosi ai grossi proprietari terrieri, detentori di un potere mafioso che gode della copertura delle istituzioni.

Il ras locale è Cumpà Schettino (Antonio Gerardi), che compra per quattro soldi l’olio prodotto dai contadini locali, che vivono in uno stato di paura e sudditanza, anche perché i Carabinieri del posto in pratica sono ai comandi della malavita.

Ciccio (Riccardo Scamarcio) si ribella a questo stato di cose, e ottiene un certo seguito dai contadini del posto, ma quando Schettino viene a sapere che ha una relazione extraconiugale con sua figlia Bianca (Gaia Bermani Amaral) gli eventi precipitano.

L’Ultimo Paradiso: un ritratto didascalico dell’arretratezza del Meridione del secondo dopoguerra

Il film descrive con crudezza la triste realtà del Meridione del secondo dopoguerra, nel quale la donna è in genere considerata nel migliore dei casi come un oggetto di proprietà del marito, se non come un mero oggetto di piacere sessuale.

Una realtà nella quale i contadini non hanno nessuna possibilità di salire la scala sociale, da un lato schiacciati dall’arretratezza culturale e dalla povertà materiale della loro terra, e dall’altro fisicamente minacciati dalla malavita locale, che non esita a utilizzare anche la forza pubblica per reprimere ogni tentativo di ribellione.

Ciccio è in questo contesto una figura eroica, che emerge dal grigiore sottomesso dei suoi concittadini, capace di coltivare dei sogni di riscatto sociale e crescita personale e, soprattutto, di ribellarsi al bieco Schettino.

Sullo sfondo rimane la figura del fratello, andato nel ricco Nord urbanizzato e industriale, dove si è fatto una posizione, e quella del nonno, scappato con una giovane ragazza in America, inseguendo i suoi sogni di libertà. Per i giovani del posto l’unica speranza è quindi scappare altrove, tagliando i ponti con le loro radici.

Il film indugia forse anche troppo sulle dicotomie Nord-Sud, città-campagna, buon capofabbrica-proprietario terriero corrotto e mafioso, fornendo un’immagine fin troppo stereotipata e didascalica della realtà sociale italiana del secondo dopoguerra.

L’ultimo Paradiso: un film diviso in due partii che poco hanno a che fare tra loro

La prima parte del film è abbastanza coerente, anche se non entusiasmante e abbastanza scontata. Le cose cambiano a metà pellicola, quando Scamarcio interpreta anche il fratello di Ciccio, Antonio, che ritorna al Sud per regolare i conti con il ras locale e, in definitiva, con il suo stesso passato.

I due fratelli sono fisicamente due gocce d’acqua (in pratica Scamarcio con e senza i baffi), ma con caratteri diametralmente opposti. Ciccio è focoso, estroverso, sciupafemmine, assertivo, sognatore, creativo, mentre Antonio è serio, riflessivo, taciturno, concreto, avvezzo alla routine della fabbrica.

Se è facile immedesimarsi in Ciccio, personaggio eroico e solare, sprizzante umanità da ogni poro, è invece difficile comprendere Antonio, che rimane praticamente inaccessibile dietro ai suoi silenzi e ai suoi sguardi indecifrabili.

I due tempi del film hanno quindi un diverso protagonista maschile, e portano avanti tematiche differenti. La prima parte del film è un inno alla rivolta sociale, alla ricerca di giustizia e di riscatto dall’oppressione, mentre la seconda è intimistica, concentrata intorno alla figura di un migrante che ritorna nella sua terra. Non per niente Antonio nella sua valigia porta il libro di Cesare Pavese La Luna e il Falò. Un indizio che probabilmente ci viene lasciato per capire meglio questa parte del film.

Un indizio prezioso, visto che Antonio non ci dice niente delle suo mondo interiore e delle motivazioni che lo spingono all’azione, che gli faranno cambiare il corso degli eventi, fino all’inaspettato finale.

L’Ultimo Paradiso: un prodotto non eccelso

Le due parti del film sono poco omogenee, sembra quasi di vedere due pellicole differenti. Se il primo tempo è abbastanza godibile, anche perché tratta temi universali e concreti dai quali è facile farsi trasportare, il secondo tempo ha una dimensione quasi metafisica, nella quale si muove l’impenetrabile e incomprensibile Antonio, che contempla pensoso i paesaggi della sua terra natia, diventati dei quadri di Giorgio De Chirico.

Se il film avesse mantenuto lo stesso taglio per tutta la durata della pellicola il risultato finale sarebbe stato probabilmente migliore. Peccato.

Alessandro Marotta

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