Questa settimana vi portiamo da Venica e Venica con Ornella Lauzzana Venica da 32 anni in azienda.
Ci troviamo a Dolegna del Collio in loc. Cerò 8, immersi nel verde delle colline giungiamo a questa fantastica villa che sembra da poco ristrutturata.
Tutto è perfettamente curato in ogni dettaglio, con un connubio molto azzeccato tra tradizionale e moderno.
Ci accoglie Ornella, donna elegante e raffinata che ci mette subito a nostro agio.
Parlando con lei ci si accorge subito della sua innata competenza e capacità di raccontarsi.
Questo si rispecchia perfettamente anche nel suo Sauvignon “Ronc delle Mele”, che si abbina decisamente alla personalità di Ornella, semplicemente fine e distinto.
Qual è la storia della cantina?
L’azienda nasce il 6 Febbraio 1930, abbiamo appena festeggiato i 90 anni con la nostra Magnum di Friulano celebrativa “Ronco delle cime”. Sulla scatola in legno è serigrafato il contratto con cui Daniele, il nonno di mio marito e di mio cognato, ha firmato l’acquisto dell’azienda, concordato prima con un preliminare che risale al ‘29 e poi acquistato nel ‘30.
Tra preliminare è l’atto d’acquisto sono successe tante cose, tra cui la famosa crisi del ‘29 che è arrivata dagli Stati Uniti. Nonostante a grande depressione e la svalutazione monetaria avessero fatto schizzare il prezzo dal preliminare all’atto di vendita, Daniele mantenne comunque la parola data facendosi aiutare dalla famiglia. In quegli anni, il ruolo ed il senso della famiglia era molto importante, quindi nel momento della difficoltà, chiese aiuto a cugini, amici e parenti che lo aiutarono.
Daniele ebbe due figlie femmine e un maschio di nome Adelchi, che nacque nel ‘30 e, com’era uso all’epoca, eredita la casa. Adelchi, presa in mano l’azienda, ebbe poi due figli, Gianni e Giorgio, l’attuale proprietà; all’interno della cantina abbiamo un’opera d’arte realizzata con due pezzi di metallo uniti da una biella che può simbolicamente rappresentarli. Gianni è il capofamiglia, Giorgio è il maestro di cantina, due ruoli completamente diversi ma che si integrano alla perfezione, si completano, perché danno chiaramente il senso di appartenenza della famiglia, che li tiene uniti come nella scultura. C’è poi il futuro, i nostri figli, la quarta generazione.
Ci racconta una profonda e bella curiosità sulle porte nella vostra cantina?
90 anni di storia vissuti all’interno della casa del nonno Daniele, dove attualmente batte il cuore pulsante della cantina. Qui troviamo i manufatti che rappresentavano la sua dimora, la porta d’ingresso della casa, già bellissima quando arrivai in famiglia 32 anni fa. Per esigenze di sviluppo della visita in cantina e di organizzazione è stata spostata mantenendone la struttura classica rurale di fine ‘800. Questi dettagli mi hanno permesso di pensare a un racconto del passare del tempo all’interno della casa del capostipite, raccontando le generazioni. Troviamo anche il passaggio di Adelchi all’interno della casa, subito dopo la guerra fece una scelta molto importante: anziché migrare com’era abitudine, in Germania o in Belgio, decise di stare in famiglia sul suo territorio. Lo chiamo “sentinella del territorio”. Adelchi ha una porta dedicata all’interno della nostra casa, in una nicchia dove ora ci sono solo i cardini. Quando una porta di collegamento non serviva più in passato, si mettevano i mattoni da un lato e si creava uno spazio, così da avere un armadio. Siccome il vecchio passaggio collegava probabilmente una sala di disbrigo con la cucina, la nicchia all’interno della cucina è diventata la dispensa, quindi “la dispensa di Adelchi” che è diventata tesoro e simbolo di benessere quando è piena, cioè l’impegno di restare sul suo territorio.
Da cosa nasce la sua passione per il mondo vitivinicolo?
Nasce sicuramente per Amore. Nel 1988 arrivo in casa Venica per amore, per mio marito Gianni Venica.
L’arrivo in questa realtà famigliare mi ha subito coinvolta, perché prima c’era il ristorante dove proponevo i vini della casa. Per fare questo dovevo formarmi giorno per giorno.
La mia attività lavorativa precedente era molto più fredda, dove si facevano calcoli da ragioniera e in campo edilizio. Ho cambiato proprio ambito lavorativo e quindi entro in questo mondo, secondo me più bello, molto più umano, con un rapporto molto più profondo con le persone, perché per me a tavola ci si spoglia un po’, diventando forse un po’ più umani.
Qual è la filosofia della cantina?
Nel 2011 la Venica e Venica si avvicina un progetto che si chiama “Viva”. Questo è la valutazione dell’impatto che un’azienda vitivinicola ha sull’ambiente e diventiamo parte di un progetto pilota, assieme al Ministero dell’Ambiente. Siamo una delle 8 aziende che vengono selezionate a livello nazionale per lavorare a fianco del Ministero dell’Ambiente, assieme ad alcuni poli scientifici, per andare a determinare e individuare, un protocollo calcolatore. Praticamente andiamo ad inserire i dati produttivi di tutta l’azienda all’interno di un progetto, che permette di calcolare le emissioni di gas serra, il consumo dell’acqua, la biodiversità del suolo e andiamo a cimentarci anche nell’ambito delle relazioni sociali dell’azienda sul territorio. Gli accordi internazionali sul clima, hanno chiesto di ridurre l’impatto che un’azienda ha in tutti i settori sull’ambiente, anche in quello agricolo, che forse quello che ha l’impatto più importante sull’ambiente, dato che è molto invasivo e noi dobbiamo riuscire in qualche maniera a ridurlo.
Se dobbiamo ridurre il nostro impatto, in qualche maniera prima dobbiamo misurarlo e “Viva” aiuta in questo.
Uno di questi meccanismi può essere la messa a dimora del bosco, noi abbiamo 40 ettari di vigneto ma ne abbiamo poi 50 di bosco, questo vuol dire che in parte andiamo ad ammortizzare il nostro impatto.
Tutto questo è stato studiato tramite un protocollo, da cui poi è arrivata una certificazione che è stata valutata da un ente terzo.
Siamo una delle poche aziende che ha tre certificati, perché abbiamo già fatto tre volte questo passaggio. Possiamo dire che siamo un’azienda sostenibile dal punto di vista ambientale grazie a questa analisi.
In più abbiamo un altro progetto, che si chiama bilancio di sostenibilità o conosciuto come bilancio sociale, che è solitamente obbligatorio per chi si quota in borsa. Il mondo del vino si è avvicinato molto tardi a questo. Siamo stati la quarta o quinta azienda in Italia che ha redatto questo bilancio, di cui abbiamo già presentato quello del 2019 e poi del 2020.
Per noi il vino è fare del bene oltre che essere buono da bere, bello da pensare.
Questo rispecchia anche gli interventi fatti in vigneto: no diserbanti, no concimi chimici, no prodotti di sintesi, attenzione alla biodiversità, semina del sovescio, non intervenire troppo sulle potature, sulle cimature senza stravolgere determinati equilibri. Facciamo attenzione ai nodi, quindi ai momenti di intervento, sia in vigneto che in cantina. Cerchiamo di avere una grande attenzione a tutta la filiera, non siamo né biologici, né biodinamici, però riprendiamo alcune filosofie in modo da fare una lotta integrata. Per noi se la terra sa di buono vuol dire che è ricca e se è ricca era sicuramente da un prodotto migliore.
Come vedete all’interno del mondo del vino il vino friulano?
La specificità, l’individualismo del territorio, la particella, Il vigneto, il cru, fanno parte del nostro meraviglioso sistema produttivo Italia, ricchissimo di questa diversità. Per quanto riguarda l’enogastronomia in genere, dato che c’è una clientela sempre più attenta a ciò che mangia e ciò che beve, dobbiamo fare attenzione ai turisti che vengono in Friuli, perché ogni prodotto deve essere portavoce del territorio e deve essere possibilmente a km zero o fatto in loco. Il consumatore attento non vuole solo conoscere, ma desidera proprio entrare sul territorio a capire la filosofia della cantina, vedere i luoghi dove si produce, fare vacanza in quell’ambiente e desidera che sia salubre dal punto di vista salutistico e quindi made in Italy. Siamo molto attenti a ciò e possiamo trarre a giovamento da questa nuova esigenza del consumatore, del resto l’azienda cresce assieme al consumatore e il consumatore cresce assieme all’azienda, perché si stimolano a vicenda.
Come vedi la tua evoluzione e quella della cantina fra 10 anni?
La programmazione è sicuramente fondamentale. Ecco perché c’è un capofamiglia, cioè un manager. Senz’altro con 90 ettari di proprietà siamo per il Collio una realtà medio-grande, con circa 300 mila bottiglie prodotte l’anno. Sono pochissima cosa nel mondo, ma per ora siamo soddisfatti così. Noi della terza generazione non vogliamo imporre qualcosa alla quarta che ci subentrerà, dato che siamo in procinto di passare. Vogliamo rimanere nella gestione familiare in questo momento, in tutti gli ambiti, dalla produzione, alla commercializzazione, alla gestione, alla pubblicizzazione, dato che per ora riusciamo a gestirci abbastanza bene.
L’ambito del vino adesso richiede questo, molta trasparenza. Siamo sempre pronti a correre insieme, ma fra 10 anni potrebbero cambiare alcune esigenze. Noi non possiamo tarpare le ali alla prossima generazione, ma vedo che in questo momento i giovani sono molto radicati sul territorio, sono molto attenti alla sostenibilità, quindi è un percorso corretto quello che stanno facendo, poi si vedrà.
Cosa ne pensa dell’enoturismo?
E’ il mio pane quotidiano, quando sono arrivata in azienda ho trovato tre camere, dato che Gianni nel ‘85 le ha aperte all’interno dell’azienda nella casa dove viveva il nonno, che è stata trasformata in un agriturismo. Sono state fatte anche delle camere in più adibite al pernottamento, prima che la Regione legiferasse le norme sugli agriturismi, quindi siamo uno dei primi in Friuli Venezia Giulia.
Per noi il turismo verde è una cosa molto importante, perché i nostri vini sono ambasciatori nel mondo del territorio, ma sono vini di eccellenza e sono vini che vanno a intercettare un consumatore attento, informato, disponibile anche ad una certa spesa per acquistare quella determinata bottiglia, che ha il piacere di andare sul territorio, a vedere se la qualità del territorio è all’altezza del prodotto. Per essere all’altezza del prodotto bisogna dare il servizio al consumatore e alla persona che va a visitare il posto, ecco perché le camere da 3 sono diventate 6 e adesso si sono aggiunte altre 3 camere per un totale di 9. Forniamo anche le biciclette e solo la prima colazione, ma di tipo internazionale, con il focus dolce/salato, dove la proposta che facciamo sono i prodotti del territorio.
Devo dire inoltre che negli ultimi 10 anni il Friuli ha fatto passi da gigante a livello di infrastrutture, quando sono arrivata in azienda eravamo una delle poche strutture adibite all’accoglienza sul territorio. Adesso c’è stato un exploit di strutture ricettive, che puntano sempre di più ad un turismo verde. Abbiamo capito tutti che c’è il turismo del mare, della montagna, ma anche quello verde dell’area collinare.
Il vino è il nostro motore, il nostro punto di vita, sappiamo bene che la fruibilità del territorio è un qualcosa che ci permette di avere un’attività integrativa. Visto che le due attività vanno a braccetto e se sono ben strutturate, diventano un bellissimo biglietto da visita per un posto ancora in parte sconosciuto come il Friuli Venezia Giulia.
Fino a 10 anni fa dovevamo dire che eravamo vicini a Venezia, adesso gradualmente stiamo riuscendo ad avere più notorietà, grazie alla qualità dei prodotti e dei servizi che offriamo, anche a livello di accoglienza.
Filippo Frongillo
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