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Luca Colussi: Da “Segni” ad “Omaggio a Paul Motian”

Luca Colussi: Da “Segni” ad “Omaggio a Paul Motian”

Il batterista friulano si racconta tra progetti passati e futuri

Ad un anno dall’uscita del suo primo disco in veste di compositore e interprete, “Segni”, registrato con il pianista Paolo Corsini ed il contrabbassista Alessandro Turchet nei prestigiosi studi Artesuono di Stefano Amerio, il batterista e compositore Luca Colussi è pronto ad una nuova avventura discografica, nuovamente ad Artesuono, stavolta con un’altra formazione altrettanto speciale: il sassofonista Francesco Bearzatti, il pianista Giulio Scaramella ed il contrabbassista Alessio Zoratto, con un omaggio al maestro dei tamburi armeno-americano Paul Motian: “Omaggio a Paul Motian”.

Abbiamo

parlato con Luca Colussi toccando vari argomenti, in particolare le modalità di fruizione dell’arte musicale al giorno d’oggi, i canali di promozione, i suoi progetti tra studio, streaming e live.

 

Non sei nuovo a dirette streaming via social, tra prove, interviste, lezioni-concerto, e al tempo stesso non sei un fanatico del genere. È un semplice modo per condividere musica o sono esperimenti che fai guardando tanto al presente quanto al futuro?

 

«Dal mio punto di vista queste dello streaming sono parentesi di esperienza. Non sostituiscono il live, sono piuttosto dei modi percorribili per tenersi in contatto con il pubblico o con gli amici che ci seguono. Interagire via web in diretta, comunque, per me non ha niente a che fare con un concerto, o con il realizzare una performance come a me piace intendere. È una forma di condivisione, è trascorrere una mezz’ora assieme con chi sta a casa ed ha piacere di ascoltarti. Non nasce come idea di sviluppo di un lavoro, non è una cosa fissa…È un esperimento sociale, per certi versi, dove puoi interagire, far sentire qualcosa».

 

Per te il social è un mezzo di interazione, come dire: meglio di niente?

 

«Non mi ritengo un “social” puro.  È una modalità per pubblicizzare e dare eco a ciò che si fa, ma il live “reale” è insostituibile. Il social può essere anche un “fake”, non deve esaltare l’”ego” e secondo me è bene utilizzarlo stando ben lontani da ogni forma di polemica, di sterili discussioni che trovo inutili e dannose. Preferisco di gran lunga, anzi adoro, la presenza fisica. Credo profondamente nei “live”, faccio tanti concerti, lezioni, seminari. Lì c’è il confronto reale, mentre il social è a senso unico. Il valore reale è sul palco».

 

Cosa ne pensi di chi “si fa tutto da solo a casa”?

 

0⁰«Il discorso del “farsi tutto da soli a casa”, come registrarsi a casa e poi condividere sui social, è la più facile, tutti possono arrivare al mezzo. Il problema è che spesso e volentieri non c’è il confronto reale e questo tipo di esperienze sono lontane ad esempio dal partecipare ad una jam session, interagire ad un seminario, condividere una lezione in presenza. Fare da soli a casa fa mancare quel tessuto di aggregazione musicale che per me è fondante. Infatti si scopre che chi si arrangia e registra dalla sua camera, dal suo studio, senza uscire mai di casa, avere un feedback, dal vivo dimostra di avere un rendimento più basso rispetto a quanto “posta” sui social. Come dire: “il video fotte”, ma se usato intelligentemente può avere la sua utilità».

 

In questo stato attuale di ripresa ad una “quasi normalità”, quali sono i tuoi progetti in vista?

 

«Ritornare alla normalità, ovvero a tutto ciò che era prima del 2020, non si potrà. Abbiamo una ferita che c’è e rimarrà, un “Segno”, come ho titolato l’album, che ci ha cambiati. Non è un caso, questi segni rimarranno indelebili nel nostro corpo, nella nostra testa. Ma da una crisi può nascere un’opportunità e sento la voglia e l’energia di ripartire. Ho vari progetti realizzati da poco, come il concerto-oratorio omaggio a David Maria Turoldo con l’Ensemble permanente di ricerca musicale L’Insiùm a gennaio per il Teatri Stabil Furlan, i concerti con l’XY Quartet (con i mitici Nicola Fazzini, Alessandro Fedrigo e Saverio Tasca) come a Vicenza il giorno di San Valentino, i workshop con l’associazione musicale Francesco Manzato, le partecipazioni a nuovi dischi, progetti in corso di programmazione – sperando che tutto vada bene e non ci siano chiusure – come un potenziale tour  con artisti americani, concerti in Germania a settembre, molto altro ancora e non da meno, il prossimo disco “Omaggio a Paul Motian”».

 

“Omaggio a Paul Motian” con Francesco Bearzatti, Giulio Scaramella e Alessio Zoratto, pronto ad uscire. Chi era Paul Motian e perché un omaggio a lui?

 

«Paul Motian è per me un grande punto di riferimento, aveva una estetica musicale straordinaria, personale, soprattutto dagli anni ’70 in poi. Non è il mio idolo ma amo di lui il suo essere visionario, la sua capacità di invettiva, la sua abilità compositiva. Ha fatto tantissimi dischi a suo nome, oltre a collaborare con mostri sacri come Thelonius Monk, Bill Evans, Keith Jarret, Lee Konitz… Riusciva a plasmare delle cose che altri non coglievano e anche in maniera molto – fra virgolette bene in vista -, “semplice”. Il concetto di ridare voce a quel modo di suonare lì, spostando il suono, mi permettere insieme a straordinari musicisti di dare voce alla sua musica, attraverso un taglio da quartetto, ripercorrendo in qualche modo la sua carriera.  L’idea ce l’avevo, ho così “provocato” musicisti di cui ho molta stima. Ho avuto un ritorno più che positivo, che mi ha meravigliato per la spontaneità della resa e tutto è venuto molto naturale. Ci sono due giovani di talento, con grande voglia di imparare e mettersi in gioco, poi c’è Francesco Bearzatti che completa tutto, a lui carta bianca. Ci siamo divertiti un sacco, e si sente, non vedo l’ora di presentarlo e di suonarlo dal vivo questo “Omaggio a Paul Motian”».

 

Alessio Scem

About dal corrispondente

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