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San Giovanni e blùmari

La notte di San Giovanni è un momento di reale magia. Come ogni anno alla chiesetta di Santo Spirito a Spignon genti da tutto il Friuli raccolgono le erbe per il mazzo di San Giovanni. Questo sabato, il maestro di fisarmonica Aleksander Ipavec (Ipo dell’Etnoploc Trio) ha accompagnato la vestizione del blùmaro. Il rito carnevalesco che avviene il martedì pomeriggio a Montefosca, la più remota ed isolata frazione montana del comune di Pulfero, dove c’è la piccola, ma eletta schiera dei blùmari o blùmeri.

Il termine, secondo i locali, riprodurrebbe per onomatopea il suono dei campanacci, ma è più probabile che provenga dal tedesco “blume”, fiore, per il copricapo che ricorda un albero fiorito. Tutto quel che riguarda i blùmari è improntato alla sacralità, fin dalla vestizione che è quasi un cerimoniale con regole fisse.

Un tempo adattavano alla persona un lenzuolo, poi si sono fatte le tute bianche. Un anziano intreccia una corda al busto del blùmaro, incrociandola sul petto e annodandola sul dorso, in modo che i campani, che vi vengono appesi, non scivolino uno sull’ altro e possano muoversi e dare chiaro suono durante l’azione.

Le ragazze della “classe” aiutano ad adattare il copricapo, trattenendolo e ornandolo con fazzoletti colorati, perché resti ben fissato. Abili anziani confezionano questi bellissimi copricapi, formati da una calotta intrecciata, di paglia, da cui parte (in verticale e in orizzontale) una complessa costruzione di fil di ferro rivestito di paglia. Riproduce un alberello stilizzato, tutto ricoperto di fiori e striscioline di carta colorata.

Il suo sviluppo piramidale esalta la significanza rituale del blùmaro. Completa l’abbigliamento un lungo bastone che qui chiamano pistòc e che anticamente era di certo il bastone del pastore. I blùmari, giovani maschi non sposati, hanno un loro spazio e non si mescolano con i gruppi di maschere che contemporaneamente a loro girano per il paese e non questuano; ricevono solo il ristoro di bevande che le donne recano loro lungo il tragitto.

Essi hanno il volto pulito, appena un poco velato dai fazzoletti. I blùmari sono sempre in numero dispari (ed anche questo ha un significato magico). Il loro rito è una “corsa magica”, compiuta in fila indiana per  imitare la disposizione processionale, e ripetuta tante volte quanti sono i blùmari stessi.

Durante il rito nessuno in paese deve lavorare, né compiere comunque attività che abbiano uno scopo pratico e quotidiano: altrimenti non verranno rape, le galline non faranno uova.

Malannata sarà quella che non ha i blùmeri!

E’ il momento magico in cui gli spiriti della vita cacciano la morte invernale.

I blùmari così “ariosi”, portano annuncio di rinascita: i loro campani cacciano gli spiriti cattivi, la loro corsa (o “trotto”, come essi dicono) e il battito dei pistoc scuote la terra, risveglia le forze sotterranee,  propiziando in questo modo la rinascita dei campi e il ritorno della primavera.

L’eccitazione della corsa è come l’orgasmo di un amplesso alla terra. Il loro percorso è circolare, lo stesso delle processioni e della circumnabulatio roga­zionale. È il percorso sacro che deve racchiudere tutto l’abitato della comunità nel suo effetto protettivo e propiziatorio.

Di tanto in tanto sostano per bere, poi si allacciano alle spalle, fra loro, racchiudendo al centro un compagno, e compiono un movimento da girotondo, forse reliquia di danza sacra, che sembra voglia sollecitare la terra nel tempo del disgelo, affinchè rapida germini la nuova vita e le giovani piantine di grano crescano alte come i loro salti.

Contemporaneamente scuotono i cam­panacci, muovendo le spalle, come chi è preso da forte brivido, e lanciano iurìscat, gridi di uccelli in amore, come durante le fienagioni da un poggio all’altro. Alla fine vengono festeggiati in osteria, là dove tutto ha avuto inizio.

Di notte poi a “La Gastaldia d’Antro” con i balli di Cristina Pertoldi davanti al kries e ai fuochi accesi da Matej Špacapan.

Lucia Pertoldi

© Riproduzione riservata

 

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