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Men: la recensione del film di Alex Garland

Men: la recensione del film di Alex Garland

La giovane Harper Marlowe (Jessie Buckley) si prende due settimane di ferie nello sperduto villaggio di Cotson, costituito da un pugno di case e un pub raccolti attorno a una chiesa, circondati da una natura lussureggiante.

La accoglie il proprietario della magione che ha affittato, Geoffrey (Rory Kinnear), un impacciato uomo di mezza età, che le mostra la sua nuova dimora. Nonostante qualche battuta infelice da parte del proprietario di casa, tutto sembra essere perfetto.

Del resto scopriamo subito che Harper ha proprio bisogno di un sano periodo di tranquillità, per riprendersi da un trauma familiare che la ha segnata profondamente. In teoria, niente di meglio di una bella vacanza in aperta campagna, a contatto con la natura, lontano dai ritmi forsennati e dallo stress della città.

Ma in pratica le cose volgono rapidamente al peggio. I boschi che circondano Cotson nascondono presenze inquietanti e ostili. Che ben presto si avvicinano alla casa di Harper, a mano che acquisiscono forza ed escono dal perimetro dell’umanamente comprensibile…

Jessie Buckley in Men
Jessie Buckley in Men

Men: un film contro la mascolinità tossica che rischia diventare contro il genere maschile in generale

Nel film tutti i personaggi maschili si dimostrano di essere incapaci di avere un rapporto equilibrato con l’altro sesso. A rendere ancora più evidente questa caratteristica è che sono tutti interpretati dallo stesso attore, Rory Kinnear.

I comportamenti da loro manifestati comprendono l’intero repertorio riconducibile alla mascolinità tossica: si va dalla blanda misoginia di Geoffrey, ai pregiudizi bacchettoni del reverendo locale, alla presenza di un anonimo maniaco che si aggira nudo nelle vicinanze, fino ai violenti attacchi fisici di un ragazzo del luogo, glissando su quanto accade nel finale, che deborda nel soprannaturale e nel visionario.

L’unica altra presenza femminile è un’amica di Harper, Riley, che tuttavia per larga parte del film è una presenza virtuale, contattata telefonicamente dalla protagonista. Tutti i personaggi maschili sono ostili, segnando un profondo fossato tra i due sessi, barriera che accomuna tanto la bucolica realtà di Cotson, nella quale la protagonista vuole rifugiarsi, quanto quella cittadina, dalla quale Harper sta in definitiva scappando.

Insomma il mondo maschile è completamente negativo e ostile, e tale sua caratteristica è talmente forte e connaturata all’ordine delle cose che è in grado di superare il tradizionale dualismo natura-cultura (nella sua classica declinazione campagna-metropoli), tanto che costituisce una minaccia per la giovane donna ovunque lei si muova.

Ed è forse proprio nello sperduto paesino di Cotson che l’aggressività maschile può esprimere il suo pieno potenziale, tanto che la piccola località pare non ospitare nessuna donna, oltre alla giovane protagonista. Esiste invece il feticcio della presenza femminile, una maschera indossata da un ragazzo del posto, che sembra essere ritagliata da una bambola gonfiabile, non a caso esibita nei dintorni della chiesa locale.

Insomma il film esprime una posizione molto forte sul rapporto uomo-donna, che rischia di fare debordare la sacrosanta condanna di comportamenti ingiustificabili nel rifiuto del genere maschile in generale, descritto come intrinsecamente incapace di avere rapporti sani con l’altro sesso.

Una posizione estrema che comunque è figlia del momento storico che stiamo vivendo, che vede un continuo ridimensionamento del ruolo maschile tradizionale che, come in questo caso, può arrivare alla condanna del genere maschile tout court.

Rory Kinnear in Men

Men: un film non convenzionale per alcuni versi apprezzabile

Men è figlio del suo tempo anche per una sua altra caratteristica: la commistione dei generi. Incomincia come un thriller tradizionale, sconfinando poi nel paranormale, per arrivare al body-horror cronenberghiano nel finale.

Sia chiaro che questa pellicola non ha niente a che vedere con il recente Crimes of the Future, di David Cronenberg. In Men non c’è traccia della morbida sensualità che permea quest’ultima pellicola, che propone un “nuovo sesso”, legato alla trasformazione del corpo tramite chirurgia, opposto al “vecchio sesso”. Nel film di Alex Garland il sesso è semplicemente sopraffazione dell’uomo sulla donna.

Una sopraffazione che origina in dimensioni metafisiche, come suggerito dal forte simbolismo rappresentato nel film. Un simbolismo che si annida proprio nella chiesa del villaggio, il cui cristianesimo di facciata nasconde una realtà pagana, come avviene nelle pellicole di Laura Samani (basti pensare al suo recente Piccolo Corpo, ma soprattutto al suo cortometraggio d’esordio, La Santa che Dorme).

Analogamente alle pellicole della Samani, Men ci mostra una natura per un verso misteriosamente magica e affascinante, per l’altro intrinsecamente ostile. E nella quale, alla fine, le donne sopravvivono nonostante la presenza degli uomini, che sembrano essere nel migliore dei casi un semplice ornamento del mondo nel quale si muovono le protagoniste femminili.

Al di là di queste considerazioni, stiamo parlando di una pellicola non convenzionale, fortemente simbolica, curata nei dettagli, con una splendida fotografia e ben recitata. Un plauso in particolare a Jessie Buckley, capace di dare spessore alla tormentata protagonista, mentre Rory Kinnear, pur interpretando molteplici ruoli, ha avuto il vantaggio di dovere dare vita a stereotipi che in alcuni casi rasentano la semplice macchietta.

Certo il finale, che sfocia nel body-horror, non è di facile lettura e si presta a molteplici interpretazioni, il che può essere una cosa apprezzabile per alcuni, ma può suscitare perplessità in altri.

Un film che probabilmente darà luogo a giudizi fortemente contrastanti.

Alessandro Marotta

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