venerdì , 22 Novembre 2024
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La doppia faccia del social network


Non v’è tema più usato ed abusato al giorno d’oggi di quello del social network. Giornali, telegiornali, libri, riviste e quant’altro adattano i loro programmi e ridefiniscono il loro linguaggio sulla base di quello che i nuovi mezzi mediatici propongono (e propinano), ricorrendo a neologismi di dubbio gusto e dubbio interesse, bombardandoci di foto sgranate prese da facebook e affliggendoci con tweet poco illuminanti scelti a caso dalla lista dei trend topics.

Ma non è di questo che si vuole parlare ora (sebbene ciò potrebbe portare a formulare interessanti teorie e dibattiti su quale sia il mezzo d’informazione che più snatura e fuorvia l’idea di social network. Si, so a cosa state pensando. Ma Studio Aperto è fuori concorso per concorrenza sleale).In questo caso si vuole piuttosto parlare di come i vari social network, nonostante evidenti pregi ed utilità, se messi nelle mani sbagliate, o semplicemente nelle mani di qualcuno scarsamente informato, possano portare a conseguenze abbastanza devastanti (se non altro per la dignità delle persone).

Premetto una cosa. Chi scrive non ritiene il social network un mezzo demoniaco o un giocattolino per chi non ha niente da fare. No. Anzi, la mia opinione è che, se usato bene e con intelligenza (ok, non esageriamo, con criterio è più che sufficiente), il mezzo può rivelarsi estremamente utile, vista la sostanziale tendenza della cultura e della società a diventare sempre più globale, aperta e priva di frontiere. Può aiutare a comunicare, può favorire lo sviluppo e la crescita di progetti comunitari di vario tipo e può essere vettore di nuove culture, favorendo la divulgazione e l’informazione. Insomma, se usato bene il social network potrebbe (forse un po’ utopisticamente) contribuire a rendere le persone un po’ meno ignoranti e, magari, un po’ più open minded.

Premetto, però, un’altra cosa. Chi scrive non ha una grande opinione del genere umano, anzi. Cronaca, esperienze di vita e quant’altro hanno contribuito ad costruire in me la convinzione che, in fondo, siamo tutti un po’ stupidi. E questo non sarebbe di per sé un problema, se non fosse che c’è qualcuno che, stupido, lo è un po’ più degli altri.

Unite le due premesse, si può già capire dove si intende arrivare. Ossia il problema del social network in un mondo dove, forse, non siamo ancora pronti e preparati per la libera espressione (forse avrei dovuto anche premettere che non sono assolutamente contro la libera espressione, anzi. Ma ciò mi pare talmente ovvio da poterlo sottointendere).

Qual è dunque il problema? Il problema consiste nel potere che viene dato in mano a chiunque decida di utilizzare il social network (e di cui, molto probabilmente, nemmeno si rende conto). La possibilità di esprimersi, liberamente e privi di ogni tipo di censura, la possibilità di far arrivare a milioni di persone le proprie opinioni e convinzioni, si traduce in una grande arma in mano all’uomo, specie se si pensa che meno di un centinaio di anni fa anche nei paesi occidentali più evoluti ciò era precluso a tutti e che tutt’ora ci sono paesi in cui la libera espressione è vietata ed anche la stampa deve sottostare a rigidi accertamenti e controlli da parte degli organi di governo (si pensi che solo la settimana scorsa in Birmania è stata annullata la legge che imponeva ai giornalisti di sottomettere i propri articoli ai membri del governo prima di poterli pubblicare). Allo stato attuale delle cose, però, sembrerebbe quasi che non si sia ancora compreso quali siano le potenzialità del mezzo e della possibilità che esso genera e quali, invece, siano le conseguenze, catastrofiche alle volte, che esso può comportare se utilizzato male.

I social network, più che civilizzate sedi di informazione, di divulgazione culturale e di scambio di opinioni ed interessi (ah, che utopia!), sembrano, ahimè, molto più spesso la trasposizione su schermo di futili discorsi da bar di periferia, nel loro essere così intrisi di banalità e, talvolta, pure di ignoranza. Non v’è niente che possa ravvivare più gli animi di un frequentatore di facebook di una petizione contro gli sprechi dei parlamentari o di una falsa notizia su una presunta tassa sul numero di mutande che uno tiene nel cassetto, come non v’è nulla che racimola più apprezzamenti di una frase banalotta e sentimentale su quanto l’amore sia bello e quanto sia bello dimostrarlo al mondo (certo, perchè la condivisione di una frase tratta da un Harmony, com’è ben noto, rappresenta il punto più alto della dimostrazione d’amore).

Ma fino a qui non ci sarebbero nemmeno problemi, e forse è proprio per questo che qualche sottoposto di Mark Zuckerberg ha avuto la geniale idea di introdurre la funzione ‘ Nascondi dalla bacheca’ (a lui dovrebbero dare la copertina di Time Magazine, altrochè). I problemi cominciano a sorgere quando la possibilità di esprimersi liberamente si somma alla mancanza di inibizione che il poterlo fare comodamente seduti sul divano di casa propria e lontano da occhi indiscreti generano. Ciò produce una tale avidità d’espressione di tutti i propri pensieri e le proprie opinioni da indurre gli internauti (si, ho detto internauti, non vogliatemene) a profondersi in articolate (beh, più o meno) disquisizioni non solo su quanto tale legge sia ingiusta, ma anche su quanto la fruttivendola all’angolo sia pettegola o su come la moglie del commercialista sia di facili costumi. E qui sì che nascono i problemi, perchè, sebbene ciò possa non essere così evidente a chi crede che un mezzo d’informazione sia la camionetta che consegna i giornali all’edicola, tutto quello che viene pubblicato online è di dominio pubblico ma, soprattutto, è direttamente associabile a chi lo ha scritto. La combinazione delle due cose può, per l’ignaro frequentatore di social network, rivelarsi disastrosa: non è poi così difficile vincere una causa per diffamazione o calunnia se si può vantare tra le proprie prove una dichiarazione scritta associabile direttamente a chi l’ha prodotta (perchè si, ogni post, ogni tweet, ogni commento, non sono altro che dichiarazioni, scritte e firmate). Ed è anche inutile sperare in una cancellazione post – scriptum di quanto detto, perchè, com’è ben noto da articoli su giornali e riviste e servizi tv, tutto quello che viene scritto su Facebook, ad esempio, resta di dominio dello stesso anche dopo l’eventuale eliminazione (e si, ciò è da un certo punto di vista ingiusto. Ma allora è anche ingiusto che esso venda tutte le informazioni personali alle compagnie per farne statistiche di mercato, eppure noi lo accettiamo silentemente nel momento in cui decidiamo di iscriverci e di accettare i termini di accordo che ci vengono proposti).

La soluzione, dunque, qual è? Non lo so, ma intanto io quest’articolo lo pubblico su Facebook. Si sa mai che, leggendolo, ci si accorga che, forse, prima di postare qualsiasi cosa sarebbe meglio rendersi conto di come la libera espressione dei propri pensieri comporti, conseguentemente, anche una libera interpretazione da parte di chi questi pensieri li legge.

Elisabetta Paviotti

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