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Alla ricerca delle parole (perfette)?

A Pordenonelegge si è discusso sul significato della traduzione

Che cos’è la traduzione e qual è il significato che quest’operazione comporta? Alle scuole superiori i giovani fanno i conti con la temibile versione di greco e di latino, ma cosa implica esattamente trasporre i contenuti da una lingua ad un’altra, da un sistema culturale con una determinata visione del mondo ad un altro? Se n’è discusso giovedì 20 settembre presso l’Auditorium della Regione di Pordenone. Protagonisti del confronto Luigi Spina, docente di Filologia classica all’Università degli Studi di Napoli Federico II e rappresentante del Centro di Antropologia del mondo antico, Alberto Camerotto, docente di letteratura greca alla Ca’ Foscari di Venezia, e Filippomaria Pontani, insegnante di Filologia classica alla Ca’ Foscari. Camerotto e Pontani condividono il progetto “Classici contro”, che unisce classicisti e studiosi convinti che la letteratura possa essere di aiuto contro la deriva etica, estetica, civica e culturale del nostro mondo. L’iniziativa “Classici contro” è stata diffusa nei teatri storici più belli tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, dove si è cercato di rappresentare il messaggio che i classici, con tutta la loro straordinaria potenza, possono offrirci ancora oggi. I classici hanno con loro sguardo da lontano, con la loro forza straniante, ci guardano dall’esterno delle nostre consuetudini e delle nostre strutture mentali, ci insegnano a vedere in maniera diversa i problemi che ci affliggono. Oggi i classici sono costretti a difendersi non solo dalle traduzioni inflitte da filologi e professori, ma anche dalla cultura televisiva che ci domina, dalla miseria della politica, dalla decadenza del vivere civile.

La riflessione si è accentrata sul saggio “Vertere. Un’antropologia della traduzione nella cultura antica” pubblicato da Maurizio Bettini, celebre filologo classico con molte aperture anche sul mondo moderno, che insegna all’Università di Siena. Camerotto ha definito questo libro come una straordinaria avventura, che lascia stupefatti per l’infinità di idee e pensieri che vi sono espressi, a partire da quelle relative ad un’operazione banale e apparentemente semplice come la traduzione.

Il saggio propone una discussione sul modo di concepire il fenomeno della traduzione soprattutto nel mondo latino. Emerge l’idea che nell’operazione di traduzione i latini cercassero un principio di metamorfosi. È estranea al mondo latino l’idea del tradurre come resa fedele del testo originario. La letteratura latina nasce con le traduzioni delle commedie e tragedie greche, ma il prodotto di questa derivazione è qualcosa di diverso, di altro, che contiene solo degli indizi, delle tracce

del testo di base. Il paradigma della fedeltà all’originale non appartiene alla cultura antica, che si basa invece sul concetto della metamorfosi e del continuo mutamento e intrecciarsi reciproco tra l’opera da tradurre e l’opera tradotta. Non esiste, dunque, un criterio gerarchico di dipendenza del testo tradotto.

Per capirne qualcosa di più, viene in aiuto l’etimologia. Il termine latino reddere (=restituire), utilizzato per indicare la traduzione, richiama l’immagine dello scambio, della negoziazione; il termine interpres (=traduttore) contiene la radice di pretium (=prezzo). Il traduttore, stando a quest’etimologia, è colui che stabilisce il giusto prezzo tra due merci, ossia stabilisce il giusto confronto tra le parole di due lingue diverse. Gli ambiti dello scambiare le merci e del trasferire parole da una lingua ad un’altra sono antropologicamente molto affini. Il criterio che noi usiamo per giudicare una buona traduzione è quello della fedeltà. Quest’idea nasce con i problemi posti dalla traduzione della Bibbia ebraica in lingua greca, la cosiddetta versione dei Settante, allorché la fedeltà al dettato originario, che è poi la parola rivelata, diviene un fattore di capitale importanza. Entra in gioco la sacralità del testo base per eccellenza di un popolo. In realtà, il fidus interpres non è tanto il traduttore fedele e pedissequo, ma il mediatore affidabile, che negozia tra due universi culturali; come colui che negozia tra due persone che stanno avviando una transazioni commerciale, egli mette in campo la sua onestà di mediatore che si pone tra due differenti visioni del mondo.

Camerotto ha analizzato i risvolti pratici di questo problema, ovvero la traduzione nel mondo della scuola. Tradurre è come fare un puzzle con tessere che cambiano continuamente aspetto, ogni termine assume diverse sfumature a seconda del contesto in cui è inserito. La prova di traduzione è un grande cimento logico, il confronto con il testo greco e latino è un vero e proprio duello, una sfida. Lo studente deve compiere un’operazione di una straordinaria potenza logica e creativa, non limitarsi a trasporre meccanicamente con dizionario alla mano, ma produrre qualcosa di nuovo di cui è responsabile. In questo processo di metamorfosi si crea inevitabilmente qualcosa di nuovo, che è il risultato di un’operazione intellettuale creatrice. È un’impresa continua di confronto che ci impegna non solo dal punto di vista della costruzione logica ma anche della responsabilità personale. La traduzione comporta la capacità di negoziare col testo, di misurarsi con un’altra lingua, con altri comportamenti culturali. Nell’atto del tradurre si instaura un rapporto tra due culture diverse.

Il dibattito si è concluso con l’invito di Camerotto, rivolto ai giovani studenti, ad abbandonarsi alla conoscenza e allo studio dei classici, che costituiscono un’importante fonte di ricchezza contro gli insulti e le aberrazioni della modernità. “Studiare un po’ di greco e di latino” ha affermato “serve a essere cittadini europei, che danno il loro contributo alla vista difficile del mondo attuale”.

Vito Digiorgio

About Vito Digiorgio

Giornalista pubblicista iscritto all’Albo dei giornalisti dal 2013. Si è laureato all'Università di Udine con una tesi sulla filologia italiana. Collabora con alcune testate giornalistiche on line.

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