Tavole rotonde e dibattiti sui temi caldi, ma anche incontri con scrittori e proiezioni
Un week end con i giornalisti di tutto il mondo, dibattiti sui temi caldi dell’economia e della disoccupazione, finestre aperte su paesi distanti eppure legati a noi dal filo rosso della globalizzazione. Una tre giorni condita da presentazioni di libri e proiezioni di documentari. Da venerdì 5 a domenica 7 ottobre si è svolto, in collaborazione con il settimanale “Internazionale”, il Festival Internazionale a Ferrara, dedicato a coloro che ci tengono informati quotidianamente su carta o su blog – il mezzo non fa la differenza – da tutto il mondo.
Il festival è stato inaugurato venerdì mattina con la consegna della quarta edizione del Premio giornalistico Anna Politkovskaja a Carlos Dada, fondatore nel 1998 del giornale d’inchiesta online “El Faro”, blogger de “El Pais” e grande conoscitore delle realtà criminali latinoamericane. Come lui altri giornalisti hanno voluto dimostrare quanto sia difficile e pericolosa la vita del reporter. Bernardo Ruiz è un reporter della rivista “Zeta” che continua a pubblicare inchieste su narcotraffico e corruzione; come lui molti altri fotoreporter ci documentano sugli scenari cupi dell’America latina. Blogger che ci informano su cosa sta succedendo nei fronti caldi della Siria, della Corea del Nord e del Messico, che descrivono il genocidio in Ruanda, fotoreporter che raccontano la rivoluzione silenziosa delle donne in Medio Oriente al di là dei veli del regime. Condizioni analoghe sono quelle vissute dagli operatori umanitari che si trovano ad operare nelle zone di crisi. Molto spesso su queste crisi umanitarie cala la coltre di silenzio dei media. Le notizie corrono sul web, oggi grazie ai social network, grazie a Twitter si può essere aggiornati in tempo reale su ciò che accade nel mondo. Un post pubblicato diviene notizia, ma è davvero così labile il confine tra realtà e finzione? Venendo meno i filtri “editoriali” chiunque può essere definito un produttore di notizie? Si è parlato anche di accesso alle informazioni al tempo del capitalismo. È opinione condivisa che il web rapprsenta il terreno su cui si gioca una partita importante per diritti umani e democrazia. Ne è un esempio “Anonymus”, nato come forum sul web e divenuto poi un movimento globale che combatte per la libertà di espressione. Cosa dire poi del movimento “Occupy Wall Street”, sorto nella primavera del 2011 per opporsi alle mostruosità del capitalismo finanziario?
Si è parlato di crisi dell’identità europea. Una Europa lontana agli occhi dei cittadini appare sempre più lontana dalle intenzioni e dai nobili obiettivi dei padri fondatori. Al centro dell’attenzione non poteva non esserci l’Italia, alle prese con i suoi endemici problemi. Il linguista ed ex ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro ha cercato di rispondere ai quesiti riguardanti il futuro della scuola, in una società dominata dallo scontro tra il vecchio destinato a tramontare e il nuovo che inevitabilmente avanza. La segretaria confederale Cgil Susanna Camusso ha illustrato al pubblico, nel primo pomeriggio della domenica, i risultati dell’inchiesta sul precariato nel nostro Paese condotta in collaborazione con Internazionale e docenti e ricercatori della Sapienza di Roma. Al festival è stata protagonista anche un’Italia diversa, vista dall’esterno, con l’occhio dei Paesi che compongono l’Unione Europea. Punti di vista e prospettive che disegnano un mosaico composito e multiforme.
Un pubblico numeroso ha assistito anche agli incontri con gli autori che hanno caratterizzato il festival. Protagonisti sempre loro, i giornalisti, nella veste di scrittori pronti a svelare lati privati della propria esistenza. Massimo Gramellini, giornalista e vicedirettore de “La Stampa”, e David Rieff, giornalista e scrittore statunitense, hanno dialogato con la conduttrice di La7 Daria Bignardi. Di fronte ad un uditorio partecipe e attento, che ha affollato la platea del Teatro Comunale, tre giornalisti e narratori di vite ed esperienze altrui alle prese con la scrittura privata e con il dolore privato. “Fai bei sogni” di Gramellini è la storia di un bambino che impara ad affrontare il più grande dolore che possa capitare, la perdita della madre, e il mostro più insidioso che insidia l’esistenza umana, il timore di vivere. Nel libro “Senza consolazione” Rieff ripercorre gli ultimi giorni di vita della madre Susan Sontag, grande figura di intellettuale del secolo appena trascorso. “Non vi lascerò orfani” di Daria Bignardi scava dentro il dolore della perdita del genitore. Tre modi di narrare diversi, accomunati dal bisogno di raccontare un fatto personale gravido di significati e di interrogativi. La morte della madre, ma più in generale la morte, è il motivo di fondo con cui si sono trovati a fare i conti. Un evento che nel caso di Gramellini risulta ancora più tragico, visto che l’autore ha appreso dopo 40 anni la notizia del suicidio della madre. “Quando raccontiamo fatti di cronaca, sbattiamo l’orrore in prima pagina, senza preoccuparci di niente e nessuno” – ha commentato Gramellini – “mentre quando si narrano fatti privati e sentimenti, allora subentra il pudore”. L’autore ha voluto superare questa barriera della discrezione e della riservatezza, mettendo a nudo il proprio ego, il proprio essere in tutta la sua fragilità
di figlio rimasto orfano fin da piccolo, sottratto per sempre all’amore della figura materna e, per questo, bisognoso di sentire ed essere circondato continuamente da questo sentimento. “Dovremmo chiederci: cosa c’è oltre la morte? Dopo la morte c’è l’amore. Il momento della morte suggella un ciclo, ma ne dà in qualche modo il senso. Il successo del mio libro lo attribuisco anche al fatto che si è diffuso un grande bisogno di interrogarsi sul senso della vita e degli ultimi istanti della vita.” Un evento così doloroso ha posto il piccolo Massimo di fronte alla dura realtà della vita, alle sfide che continuamente l’esistenza ci sbarra davanti. E per una persona, abituata per professione a fare i conti con la verità dei fatti, degli accadimenti, non poteva non nascere un dubbio interiore: “Spesso mi sono chiesto quale fosse il senso di conoscere la verità, di apprendere ciò che sta nell’intimo dell’animo umano” – afferma – “e mi sono convinto del fatto che imparare la verità serve ad essere adulti, a farci crescere”. E prosegue: “Eventi come la morte servono a metterti in corsa per le sfide della vita, a farti capire che tu sei qui al mondo per un qualche motivo e devi dimostrare di essere vivo, devi dare un senso all’esistenza. Troppi ‘morti viventi’ affollano la nostra vita quotidiana e politica”.
Vito Digiorgio