Siria: mentre la guerra civile imperversa nel paese, il Washington Post asserisce che il governo di al-Assad stia dislocando e preparando all’uso armi chimiche. L’appello dell’autorevole testata statunitense, come le immagini e le testimonianze di combattimenti, brutalità e torture, ricorda vagamente il grido di un naufrago in balia delle onde. Da più di un anno, ormai, stiamo assistendo tranquillamente ad una sanguinosa guerra civile in Siria, scoppiata sulla scia della famosa primavera araba: da un lato abbiamo il governo siriano, più o meno legittimo, dall’altro vi sono rivoltosi uniti sotto il nome di Esercito Siriano Libero. Come in altri paesi arabi (per esempio, la Libia), erano state organizzate manifestazioni di massa che avevano provocato la violenta reazione del regime, e il passo fra le manifestazioni soppresse con l’uso delle armi e la guerra civile è più breve di quanto si possa immaginare. Ormai siamo abituati all’intervento dei paladini a stelle e strisce ogniqualvolta la “libertà” di un popolo sia minacciata (e, a ruota, dei loro compari, tra cui noi italiani), ma questa volta non vi è stata alcuna reazione effettiva: perché? Ricordo di aver visto ad un talk-show l’ex ministro della difesa La Russa sostenere che non ci fossero gli estremi per un intervento in quanto il regime siriano non stava utilizzando l’aviazione per colpire i rivoltosi. Poco tempo dopo, il regime ha iniziato a bombardare i ribelli, e ancora nessun provvedimento. Potrebbe essere una zona troppo delicata per un’azione in quanto si potrebbe provocare una risposta da parte della Russia, che comunque ha imposto il veto su una risoluzione ONU contro il regime di Damasco, insieme alla Cina (per la troppa fretta di votare il documento, hanno detto): ma quando era stato deciso di colpire la Serbia, il rischio (ben maggiore) di reazione di Mosca non era stato preso in considerazione e la NATO aveva agito praticamente senza consultarsi con nessuno, con il casus belli di fermare la pulizia etnica. Forse vi è il non infondato timore di stuzzicare l’Iran, che comunque non ha mosso un dito durante l’intervento in Libia. Adesso che si potrebbe intervenire per difendere una popolazione martoriata dalla guerra e non per invadere un paese senza motivi troppo chiari (tipo con l’Iraq), si rimane con le mani in mano a guardare. Gli unici interventi sono per rifornire di materiale i due schieramenti, con il solo risultato di alimentare sempre di più l’incendio che sta divorando la Siria. Viene da pensare che il mantenimento degli equilibri fra le due fazioni vada comodo a più di qualche potenza, se non altro per fare un po’ di repulisti ai magazzini militari. Certo è che un intervento di forza nel paese potrebbe effettivamente costringere Damasco a deporre le armi, a concedere una vera costituzione e a rinnovare il paese, o forse basterebbe provare una mediazione fra le due parti, ma forse tutto ciò questo non fa semplicemente parte dei piani degli Stati Uniti e all’ONU più in generale, che sembrano effettivamente poco interessati al destino del popolo siriano. Probabilmente, è la povertà del terreno che i siriani calpestano ad essere poco interessante, ma questo non ci è dato saperlo.
Simone Callegaro