“L’inconveniente del teatro tragico/ è che fa un bel casino/ su vita e morte e su qualsiasi misero/ insulso dolorino.” Così Beckett nel 1975, nella raccolta di poesie intitolata Pseudo-Chamfort , aveva inquadrato l’essenza della drammaturgia, ventitré anni dopo aver messo in scena la sua opera prima, il capolavoro Aspettando Godot, un’incredibile rappresentazione della condizione umana, delle sue incongruenze, delle sue sbavature, imperfezioni, follie e insensatezze, che, benché abbia portato inevitabilmente allo straniamento gli spettatori dei teatri di tutto il mondo, non cessa di attirare l’interesse del pubblico, forse proprio per questa sua carica realistica, ovvero di disvelamento delle dissonanze dell’esistenza umana.
E così Ferrini, in un periodo in cui risulta difficile riempire le platee ed ottenere il tutto esaurito nei botteghini, soprattutto italiani, per quanto riguarda le produzioni artistiche classiche, è riuscito, con l’ausilio dell’innata e quasi istintiva comicità di Balasso, accompagnata dalla perfetta maestria istrionica di Michele Schiano di Cola (la cui performance di ‘Lucky pensatore’, letteralmente da perdifiato, ha lasciato anche senza parole il pubblico) e quella di Angelo Tronca, a far rivivere un classico intramontabile, resuscitando l’idea beckettiana, riassunta in quei pochi versi poetici del’75, di un teatro che muova gli animi, non soltanto portandoli alla commozione e alla riflessione, ma stemperando la ricchezza tragica (ogni insulso dolorino) con una completa distensione dal pathos drammatico: una comicità che non stona e che bene si accorda all’assurdità dell’opera tutta che, se letta con attenzione, rende visibile anche questa tendenza. Una sorta di dramma satiresco, senza esagerazioni in senso triviale, ma sempre ben congeniato, all’interno di una stessa creazione tragica: l’assurdo è una discordanza, un allontanamento dall’armonia, ed è proprio grazie a questa commistione di elementi tragici e comici che una certa eufonia riemerge dal fondo di questa opera, senza impedire la possibilità di giungere ad una riflessione generale sul senso delle cose.
Successo, quindi, per la coppia Ferrini- Balasso che, ieri, alle 20.45, per la rassegna Crossover, ha portato sul palcoscenico del Giovanni da Udine questo nuovo esperimento che, senza alcun dubbio, sembra aver incontrato gli apprezzamenti di tutti gli astanti: risate fragorose, quindi, durante l’intera durata dello spettacolo, intervallate dalle estemporanee gag create dagli attori in risposta alle battute di un pubblico particolarmente coinvolto dalla resa sarcastica di ciò che è tragico, per preparare i presenti alla catarsi finale che, in tutta la sua autenticità, ha trattenuto la sua carica drammatica.
Ecco allora ricostituirsi la discrasia generata da quell’allontanamento che inevitabilmente il genere del teatro dell’assurdo produce rispetto all’armonia e all’equilibrio: la riconciliazione finale si sviluppa attraverso la coerenza della riflessione alla quale conduce, finalità principale di ogni opera drammatica. Nessuna concatenazione di parole più perfetta potrebbe riassumere quindi questa nuova esperienza dell’attesa di un qualche Godot, se non quella realizzata dall’autore stesso: “Chiedi al pensiero che tutto condona/ qualche sollievo dal male che dona” (Pseudo-Chamfort, 1975).
Ingrid Leschiutta