Delicata ma allo stesso tempo energica, Khatia Buniatishvili ha saputo conquistare il pubblico del Giovanni da Udine durante il concerto tenutosi lunedì 4 febbraio.
La giovane pianista georgiana ha proposto un repertorio costruito sull’alternanza tra Romanticismo e primo Novecento. In apertura, il pubblico ha potuto ascoltare la Sonatan. 2 op. 35 di Chopin, particolarmente nota per il terzo movimento, la Marche funèbre; ha completato la prima parte del concerto La Valse di Ravel, che l’autore compose originariamente per orchestra, per poi ricavarne una impegnativa trascrizione pianistica, caratterizzata da un climax ascendente culminante nel finale. La ripresa dopo l’intervallo è iniziata invece nel segno del lirismo a tratti delicato, a tratti appassionato e persino drammatico dei “Tre Lieder da Schubert”, nella trascrizione pianistica di Franz Liszt. Il finale, con i Trois mouvements de “Petruška”, è stato di grande impatto, complice l’affinità del brano alla sensibilità tecnica e interpretativa della pianista.
Grande risalto ha assunto anche l’esecuzione della Valse di Ravel:la Buniatishvili ha saputo padroneggiare con maestria la difficile partitura, dando prova di saper gestire al meglio i registri timbrici messi a disposizione dal pianoforte Fazioli, offrendo all’ascoltatore tratti sonori dolci e garbati, momenti intensi e, infine, apici di vera veemenza.
La pianista, nonostante la giovane età, ha dimostrato, nell’eseguire la Sonata di Chopin, di avere un punto di vista molto personale, proponendo al pubblico scelte interpretative inusuali, in grado di dare vita ad un acceso dibattito tra gli spettatori più attenti: la semplicità quasi asciutta della Marche funèbre, di taglio più contemplativo che cantabile, e la resa del Presto finale con “folate” sonore in cui le singole note quasi sparivano. Anche i tre Lieder sono stati proposti in una veste forse inaspettata: la Ständchen e Gretchen am Spinnrade (una Serenata, l’una, il canto della giovane innamorata di Faust, l’altra) alleggerendo cantabilità drammatica della parte vocale schubertiana, si sono ammantati di un’atmosfera incantata, quasi fiabesca. Ha fatto da contraltare Der Erlkönig (“Il re degli elfi”), brano che è trasposizione in musica di una ballata di Goethe, simbolo dell’interesse romantico per il fantastico nordico: l’esecuzione è risultata carica di tinte cupe che sono riuscite a rendere, pur nella trasfigurazione musicale, le immagini contrastanti – suadenti e disperate – del testo originale.
Lucia Ferigutti