“Quante volte noi desidereremmo più cose fatte a mano?” Si chiede Mike Daisey, guardandoci negli occhi annuncia che “Ci sono più cose fatte a mano ora che nella storia del mondo… e la maggior parte di queste cose vengono dalla Cina, dove ci sono milioni di mani per farli – molto più economico di qualsiasi macchinario – Questo potrebbe essere antitesi de “ Il tormento e l’estasi di Steve Jobs di Mike Daisey tradotto per l’adattamento proposto a Trieste dal Teatro FVG da Enrico Luttmann, ed interpretato da Fulvio Falzarano diretto dalla regia di Giampiero Solari. Dal racconto di Mike Daisey traspare una storia incredibile che nasce da un I-Phone in tasca da cui nasce la potente denuncia delle terribili condizioni di lavoro nella fabbrica Foxconn di Apple in Cina. Nella versione originale Daisey dice “Questa sera,è un virus.” dello spettacolo diffuso in tutto gli Stati Uniti, per sensibilizzare sulle condizioni disumane di lavoro di migliaia di lavoratori cinesi. Purtroppo il tipo di teatro, proposto dall’ autore si fa strumento di discussione viva e che già in America ha suscitato notevoli reazioni polemiche: la stessa Apple ha dovuto fare delle precisazioni dopo le prime repliche dello spettacolo negli Stati Uniti, e lo stesso Daisey si è visto costretto a dare conto di alcune sue “interpretazioni artistiche” non proprio rispondenti al vero, tanto che il suo testo continuamente è stato aggiornato e dettagliato durante la sua diffusione negli Stati Uniti. Ovviamente nell’adattamento italiano non ci sono accuse, ma come nel testo originale denuncie, si potrebbe scagliare contro Daisey, ovviamente, l’accusa che come altri drammaturghi crei finzioni su un’esperienza reale e sugli eventi, senza tener presente che l’immaginazione non è, e non dovrebbe mai essere, vincolata dalle regole del giornalismo. Anche nella versione italiana non pretendiamo che scrittori teatrali di denuncia come Daisey sia su o giù dal palco stiano raccontando una storia vera, anzi come Fulvio Falzarano dice verso la fine dello spettacolo sui prodotti Apple: “Il modo in cui si fa una cosa del genere fa parte del progetto stesso.” Questo potrebbe essere applicato proprio al monologo di Daisey tanto quanto per un computer portatile Apple, quanto per il sangue che zampilla tra i tasti”. Questa prima italiana dello spettacolo di Daisey, riscritta e riformulata da Luttmann, sembra far suggerire per il compianto Steve Jobs, ciò che di lui suggerivano i colleghi che l’uomo Jobs “sarebbe stato un ottimo re di Francia “. Quando Daisey dice ironicamente “Ho davvero una quantità assurda di potere sulla narrazione,” si riferisce a se stesso come un “favolista” e dichiara “non ci piace questa storia e faremmo di tutto per non crederci,” sembra sempre più come se lui si difendesse e sottolinei piuttosto al pubblico se sa che stiamo vedendo uno spettacolo teatrale, non la lettura di un dato di fatto di un controllo quotidiano. L’agonia di Mike Daisey è che, come la messa a fuoco, si ottiene nel senso di una storia reale e importante che non si limita a puntare il dito contro Apple, ma a tutti noi che senza pensarci siamo portati a “consumare” senza mai considerare come una cosa è fatta e da dove viene.Spettacolo difficile, ma pubblico attento.
Sempre al Politeama Rossetti in sala Bartoli si replica fino al 24 febbraio e poi in tournée nazionale
Enrico Liotti