Un viaggio nei seminari italiani. E’ “ la fabbrica dei preti”, il nuovo lavoro di Giuliana Musso che ieri sera ha fatto tappa al Palamostre di Udine che ha registrato il tutto esaurito nell’ambito della stagione Akropolis del Teatro Club.
Ispirato al libro di don Bellina “La fabriche dai predis”, la Musso prende in esame un periodo particolare, gli anni Cinquanta e Sessanta e un anno, il 1965 fa da perno al racconto: è l’anno del Concilio Vaticano II. I ragazzi, futuri preti formati prima di quell’anno si trovano svolgere il loro ministero nel dopo Concilio, in un momento storico ricco di contraddizioni ma anche di speranze. L’attrice conduce gli spettatori in un mondo a parte, quello dei seminari, un mondo maschile quasi da caserma dove ai bambini che arrivano a undici anni si impone di lasciare la vita di prima, gli affetti per concentrarsi solo ed esclusivamente sulla devozione, la preghiera, il pentimento, la paura. Non più persona ma numero, prodotto di una fabbrica, in questo caso quella dei preti.
Sono tre le storie messe in scena, tre storie emblematiche e rappresentative di una società e di un’intera epoca. La prima racconta la storia di un prete che lascia le vesti non tanto perchè si innamora di una donna ma perchè non si riconosce in una Chiesa che nega l’umanità nel mondo, che lo considera “un errore vivente” che lo lascia solo, vuoto e che gli toglie ogni possibilità di esser uomo perchè nonostante lo studio di anni non ha nemmeno un diploma. Perchè un sacerdote lo è in eterno. Nonostante tutto. La seconda è la storia di un sacerdote che è riuscito a trovare la sua strada, lui che arrivava dalla dolcezza di una famiglia di quattro donne e che è stato catapultato in un mondo di ghiaccio dove le donne non esistevano se non attraverso l’immagine alterata degli insegnanti e degli insegnamenti. Ecco che la donna era rappresentata come un animale mitologico, un nemico con il quale non fraternizzare, “una manza” con parti buone e meno buone. L’ultima storia parla di un prete emiliano depresso e pauroso perchè è anche un uomo depresso e pauroso che riuscirà a ritrovarsi solo andando a lavorare in fabbrica facendosi portavoce della lotta di classe.
Il passaggio da una storia e l’altra è facilitato da immagini dell’epoca originali che vengono proiettate sugli schermi bianchi che occupano la scena. L’attrice, legge con voce apparentemente distaccata brani presi dal regolamento dei seminari prima di calarsi nei personaggi a cui dare voce, lei scompare per riapparire nei panni dello spretato friulano, del prete veneto e infine in quello emiliano.
Non vengono imposti giudizi preconfezionati, vengono suggeriti spunti di riflessione, una chiave di lettura per entrare in un mondo di cui si conosce solo la facciata, dove la figura “pubblica” del prete ha il sopravvento sull’uomo con tutte le sue contraddizioni e insicurezze.
Riflessione ancor più doverosa oggi quando il papa Benedetto XVI lascerà il pontificato, lui che ha affermato di non essersi mai sentito solo, che vede la Chiesa viva e che rimarrà nel “recinto di San Pietro, non abbandonando la croce, ma rimanendo in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”.
Maria Teresa Ruotolo