Recensione – In un periodo di crescenti ristrettezze economiche che stanno spingendo molti teatri italiani verso il fallimento, va senz’altro apprezzata ed applaudita la scelta del Verdi di Trieste di proporre, a stagione ormai conclusa, una nuova produzione operistica. Il titolo scelto, Attila, lavoro tra i più frequentati e conosciuti del primo Verdi, va ad unirsi ai precedenti Macbeth ed Il Corsaro quale omaggio al grande operista italiano, nell’anno in cui ricorre il bicentenario dalla nascita. Pertanto, a conti fatti, poco importa che la produzione, inizialmente destinata ad Aquileia, sia stata dirottata verso il teatro ed abbia trovato la via del palcoscenico per tre sole repliche.
Il regista Enrico Stinchelli sceglieva di enfatizzare la componente epica della vicenda, puntando ad una teatralità dal sapore quasi cinematografico. Scelta indovinata e capace di mantenere la tensione sempre alta a dispetto della staticità intrinseca di taluni passaggi del lavoro verdiano (anzi, verrebbe da dire del melodramma italiano del primo ottocento); va reso merito al regista di avere saputo alternare alle grandiose scene di massa, restituite nella loro crudezza e violenza dove opportuno, il giusto approfondimento delle ragioni dei personaggi, soprattutto per quanto riguarda il protagonista. Piacevano le scene di grande effetto curate da Pier Paolo Bisleri, opportunamente integrate dalle proiezioni di Alex Magri e dalle luci di Gérald Agius Orway.
Orlin Anastassov era un Attila di grande voce e personalità; il basso, in possesso di uno strumento di grande pregio per colore e volume, delineava un Attila guerriero ma non monolitico, capace di indagare tra le pieghe di una psicologia complessa ed ambigua, sospesa tra l’arroganza barbara dell’eroe condottiero e i tormenti dell’uomo solo al comando. Alcune durezze ed opacità nel registro acuto non inficiavano una prova maiuscola.
Alterna la prova di Anna Markarova, Odabella pugnace e temperamentosa, padrona della scena ma non sempre irreprensibile nel canto, soprattutto nel registro acuto che è parso talora forzato e nella mezzavoce, spesso poco a fuoco, in particolare nell’aria del primo atto.
Like Xing era un Foresto garbato e ben cantato ma in debito di volume e carisma, Venteslav Anastasov un Ezio ingessato e scolastico. Molto buone le prove di Antonello Ceron, Uldino e Gabriele Sagona, Leone.
Sul podio di un’ottima orchestra Donato Renzetti offriva una prova pienamente convincente: un Verdi elegante ma non compassato, teatralmente efficace senza scadere in effettacci o eccessi ma giocato piuttosto sui colori e sul ritmo. Convincevano pienamente i momenti prettamente sinfonici (davvero splendido il preludio al prologo) così come l’accompagnamento al canto, sostenuto al meglio dalla buca.
Eccellente la prova del coro diretto da Paolo Vero. A fine spettacolo il pubblico ha salutato trionfalmente l’intera compagnia.
Paolo Locatelli
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