Dalle polemiche, prima della messa in scena dello spettacolo e dallo scandalo annuciato di “manipolazione storica” alla standing ovacion di un pubblico estasiato e avvolto dal pathos creato in scena. Un grandissimo Simone Cristicchi, sotto la splendida ed ovattata regia di un ” animale da teatro” quale Antonio Calenda hanno creato uno spettacolo teatrale che nel suo svilupparsi richiamava l’antica tragedia greca e la scena come il luogo della pietas. Ha avuto ragione il direttore organizzativo Stefano Curti , che aveva invitato la gente a “vedere prima di giudicare” e tutto come una bolla di sapone si è trasformato in una ovazione di pubblico ed applausi a scena aperta con un inevitabile applauso liberatorio alla fine della piecé. Un interprete magico, poetico e con quella grazia che mette nell’esecuzione delle sue canzoni e il suo rapporto con la morte e le tragedie umane. Non dimentichiamo l’ultima ironica canzone di Sanremo, La prima volta che sono morto, dove con grazia parlava di morte e passeggiava per i cimiteri. L’esodo rappresentato dal duo Cristicchi (in scena) e Calenda ( nella sottile regia) hanno beneficiato del commento sonoro di un grande arranciatore quale Valter Sivilotti che ha accompagnato le canzoni scritte dallo stesso cantautore e la narrazione con la musica espressa dalla FVG Mitteleuropea Orchestra in diretta sul palcoscenico. L’evocazione storica proposta da Cristicchi, senza vena polemica e senza scelta di parte, è espressa dal malinconico contenuto della vicenda, che grazie alla sensibilità di Antonio Calenda riesce anche a volare verso lampi poetici e intrecciare immagini documentaristiche ( grazie alla collaborazione della sede Rai regionale) a momenti ricchi di sortilegio e commozione in un insieme di parole, canto musica teso a raccontare una delle pagine più dolorose della storia d’Italia che ha proprio nel Magazzino 18 un proprio singolare “luogo della memoria”. La messa in scena in prima assoluta di ieri sera 22 ottobre è un buon auspicio per l’intera stagione teatrale che è andata ad inaugurare. Si nota, sempre più marcata, l’impronta imposta allo Stabile dalla attenta programmazione e scelta del suo direttore artistico lo stesso Antonio Calenda, che ha saputo attorniarsi di uno staff organizzativo di veri talenti dal direttore organizzativo Stefano Curti all’addetta stampa Ilaria Lucari e a tutto il personale che gira attorno alla preparazione delle varie stagioni portando gli abbonati a cifre da record ed inventandosi gli “Abbonamenti Stella” dove il pubblico è libero di scegliere gli spettacoli secondo il proprio eterogeneo gusto. Ritornando alla serata ed allo spettacolo proposto ieri sera ricordiamo che Magazzino 18 è incentrato su una pagina dolorosa e mai abbastanza conosciuta della storia d’Italia, che trova nel Porto Vecchio di Trieste un proprio mausoleo, appunto il Magazzino 18 che dà titolo allo spettacolo. Per l’autore nei panni di uno sprovveduto archivista romano, inviato dal Ministero a redigere un inventario in quel magazzino, che incontrerà “lo spirito delle masserizie” (dal suo estro inventato) e gli altri protagonisti le cui storie sono nascoste tra i loro semplici e privati oggetti. Cristicchi da vita una dopo l’altra a tutte le figure che aleggiano nel magazzino, e con versalità cambia registri vocali, atmosfere musicali e racconti in una storia d’insieme e di linguaggi che trasfigurano il reportage storico in una forma nuova, non certo di denuncia ma di poetica malinconia in un nuovo ed allo stesso tempo antichissimo modo di narrare delle tragedie dell’umanità. Dopo decenni sembra di esser tornati ad un teatro dove l’arte è l’interprete principale, dove il teatro di divertimento viene accantonato per creare anche grandi testimonianze. Si ha l’impressione di assistere al racconto di una grande tragedia della specie umana, come gli esodi biblici degli ebrei e dei più recenti arrivi di disperati dall’Africa sulle nostre sponde, lo scopo è quello di rappresentare la tragedia umana dei singoli in queste grandi trasmigrazioni forzate, dolorose vuoi per la guerra, vuoi per le persecuzioni etniche o religiose che purtroppo continuano anche nella nostra epoca e nei giorni più recenti. E’ normale pensare alle grandi migrazioni di indifesi sulle coste di Lampedusa, come dei diseredati del centro Africa in continuo fuggire da guerre etniche e di potere assurdo. Assistendo alla grande opera messa in scena si respira una specie di emblema lirico, metaforico che cerca di esorcizzare gli avvenimente sempre accaduti nella storia dell’umanità. E tutto ciò avviene – come insegna lo stesso Calenda – in quel luogo in cui gli antichi tragici greci, come nei Persiani di Eschilo dove la battaglia di Salamina viene rappresentata dai greci in una tragedia in cui è la pietà verso i propri nemici a rendere immortale il racconto. Il teatro cercato e voluto da Calenda ed interpretato da Cristicchi ha voluto proprio questo: rappresentare le miserie umane al di fuori di una tribuna politica o di cronaca giornalistica, e mostrare una vicenda come quella dell’esodo degli istrini, fiumani e dalmati come il dramma dei singoli e dei propri sogni infranti. Un lavoro immenso che al di la delle polemiche scoppiate prima dell’esordio ha tutti i presupposti per essere rappresentato in tutta Italia, come si augura la stessa presidente della provincia Maria Teresa Bassa Poropat. Il senso di tutta la serata è quello che Cristicchi e Calenda hanno saputo interpretare dando il massimo di se trattando di un immensa tragedia anche con leggerezza. E’ uno spettacolo unico da non perdere dove il teatro torna alla sua principale espressione : fare e divulgare cultura.
Enrico Liotti
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(le foto di scena sono di Tommaso Le Pera)