Due schermi ai lati del palco, un dialogo fra due volti in divisa costituisce il filo conduttore di “L.I. Lingua Imperii”, presentato dalla sorprendente compagnia veneta Anagoor sabato sera al Palamostre per “Differenze”, la stagione di Teatro Contatto: uno spettacolo multimediale costruito attraverso un raffinato compendio di immagini, suoni, voci, frammenti letterari, sapientemente plasmato dalla regia di Simone Derai. Il pregio dello spettacolo è quello di dare spazio a tutte le voci: quelle dei buoni e quelle dei cattivi, quelle delle vittime e quelle dei carnefici, ognuno dal proprio punto di vista.
La discussione fra l’ufficiale delle SS che ricerca nelle origini della lingua parlata le motivazioni per annientare una popolazione caucasica di religione ebraica si risolve a favore dell’esperto linguista che definisce “filosofia veterinaria” delle razze l’approccio utilizzato dai nazisti: il militare non sa dare una risposta perchè una risposta non esiste. Riesce a dare allo sterminio però una spiegazione “statistica”: dato che la percentuale di malvagi in certi gruppi è più alta rispetto ad altri, si fa prima ad ammazzare tutti, anche i buoni (che poi sono la maggioranza): in tempi di guerra è concessa una certa approssimazione. E a proposito di veterinaria, uno dei temi trattati è la caccia, nata per soddisfare i bisogni primari dell’uomo e poi diventata un divertimento: la riflessione che scaturisce è che in tempi di guerra andare a caccia di uomini e ucciderli è più naturale rispetto ad ammazzare animali.
Padri e figli: viene dato spazio alla figura di Ifigenia uccisa dal padre Agamennone per poter vincere la guerra di Troia. Sullo schermo appaiono immagini di giovani con corone di fiori intrecciate sul capo e una insolita museruola che impedisce di gridare o parlare ma lascia che sia lo sguardo ad implorare pietà. Di contro, vengono ripetuti in varie lingue 15 strazianti consigli per un genitore che ha perso un figlio: “usa il nome del tuo bambino; piangi, abituati a rispondere alla domanda quanti figli hai…”. Gli attori si spogliano e accatastano i loro indumenti. Poi si accatastano loro stessi come in una fossa comune. Accatastati come lo sono stati i corpi dei deportati nei campi di sterminio, come documentano gli oggetti quali le distese di scarpe, valigie, occhiali, protesi, esposti accatastati ancora oggi ad Auschwitz per ricordare il massacro di innocenti. Come monito affinché tanto orrore non accada più.
Sembra ancora però che questo grido rimanga inascoltato: mattanze antiche e recenti, armeni, shoah, Srebrenica tutte legate da un filo conduttore, cecità e sordità apparenti di chi non vuole vedere o sentire. Purtroppo non è medioevo, purtroppo tutto è successo negli ultimi cento anni. In tempi di pace, un’occasione di riflessione da non perdere, in concomitanza con la Giornata della Memoria che cade giusto domani.
Maria Teresa Ruotolo