Ieri e oggi, presso la Direzione del Dipartimento di salute mentale di Trieste, sono ricominciate le lezioni della neonata Scuola di filosofia. È il secondo appuntamento per un evento culturale – economicamente autogestito ed esterno all’Università – che ha preso avvio il 18 gennaio scorso grazie all’iniziativa del Laboratorio di Filosofia Contemporanea (www.filolab.it), un’associazione costituitasi dieci anni fa sotto la direzione del filosofo Pier Aldo Rovatti (Il pensiero debole, Il paiolo bucato, Etica minima).
Fino all’11 maggio, per due weekend al mese, si terranno sette corsi di circa otto ore ciascuno: l’intento dei docenti (professori e ricercatori vicini, oltre al Laboratorio, anche alla rivista filosofica Aut aut) è quello di alternare insegnamenti di carattere frontale a momenti seminariali che favoriscano il più possibile l’incontro e lo scambio di opinioni tra tutti i partecipanti. Non si tratta, però, di lezioni pubbliche; infatti, può accedervi solamente chi ha presentato una domanda preventiva.
Come ha rilevato Rovatti durante la lezione inaugurale del 18 gennaio, ciò che sorprende è il numero davvero elevato di domande pervenute: di 140 richieste ne sono state accettate “solo” 90, escludendo una cinquantina di persone (che tuttavia potranno iscriversi il prossimo anno) e accettando, comunque, una quantità di partecipanti tanto consistente da creare qualche difficoltà logistica. Inoltre, la composizione degli iscritti risulta assai eterogenea: meno del 50 per cento ha una formazione filosofica specifica, mentre il resto appartiene a mondi socio-lavorativi diversi. Ci sono persone legate alle pratiche della salute, dall’infermiere fino all’operatore psichiatrico; ma ci sono anche impiegati pubblici, insegnanti, dipendenti di banca, pensionati…
L’attrazione esercitata dalla Scuola triestina – così estesa e multiforme – sembra il sintomo di un “bisogno di filosofia”. E, considerato il triste declino delle materie filosofiche a livello accademico, è probabile che i canali tradizionali del sapere non siano più in grado d’intercettare le modalità e le ragioni politico-sociali di questo “bisogno”. Ecco perché, nel limite del possibile, la Scuola di filosofia cercherà di assumere una posizione d’ascolto, coll’intento di aggirare i pericoli insiti in una didattica troppo gerarchica ed esclusiva. La sfida potrebbe essere creare una comunicazione collettiva, cioè produrre pratiche di studio aperte alla contaminazione delle diverse esperienze.
Va infine spesa qualche parola sul titolo della Scuola – “Soggetti smarriti” – che costituisce lo sfondo concettuale comune ai diversi corsi. Senz’altro, il “bisogno di filosofia” ha a che fare con lo smarrimento, autentica condizione del nostro vivere quotidiano. Tale condizione dipende da innumerevoli fattori la cui caratteristica principale, però, è forse unica: essi sfuggono alla comprensione proprio nel momento in cui ci fannoessere quello che siamo. Qualche esempio? Il nostro navigare in balia dei mercati finanziari, l’essere condizionati da poteri criminali, motivati da logiche d’azienda e concorrenza che abbiamo incorporato, vittime di dinamiche globali che ci determinano e trascendono secondo un bizzarro paradosso.
Ecco, allora, che lo smarrimento evocato nel titolo vuole suggerire anche la dimenticanza di una cultura del sé (perché il pensiero filosofico non pone più il problema del “chi siamo”?) e la perdita di una certa filosofia politica (dove sono finite le preziose riflessioni degli anni 60 e 70?): due elementi – cultura del sé e filosofia politica – il cui smarrimento è fisiologico a quello del soggetto contemporaneo, ma che, se ripresi, potrebbero costruire il pensiero critico di cui sempre più si avverte l’esigenza. I filosofi Foucault, Deleuze, Derrida rappresentano alcune coordinate possibili; non a caso i loro nomi ritornano spesso nei corsi della Scuola (assieme a quelli di Marx e Nietzsche). Secondo Rovatti e gli altri docenti, in fin dei conti, la filosofia deve costituirsi essenzialmente come esercizio critico. Ed è questa la vera posta in gioco nell’attuale “bisogno di filosofia”. Perciò serve un esercizio del pensiero che miri a leggere in filigrana il presente e consenta, altresì, di trasformare noi stessi, le relazioni in cui siamo, il nostro sguardo sulle cose. Lungo questa via la strada si fa impervia. Ma vale la pena tentare.
Eugenio Giacomelli