Allora… devo scrivere la recensione di uno spettacolo di cui non ho capito praticamente una fava… Idea! Cercherò di applicare il “Pensiero Anomalo”, che sarebbe appunto quella filosofia e approccio alla vita (sfortunata) così sapientemente illustrati da Stefano Dongetti durante lo spettacolo. Vediamo se mi aiuta…
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… no, temo di no. Nessuna idea. Vuoto completo.
E che m’aspettavo? Lui è il Maestro e io solo un allievo alle prime armi. Il problema è che scrivere seriamente di uno spettacolo comico non ha senso, d’altro canto cercare di farlo in maniera, non dico comica, ma almeno divertente, farebbe venire il latte alle ginocchia, non essendo io del mestiere. Il nocciolo della questione è che Stefano ha ragione da vendere e anche se ti fa ridere, se ci pensi un momento, tutto ciò di cui parla ne “Il titolo ce l’ha mio cugino” ti è successo o è successo “a un tuo amico” (se non hai il coraggio di ammettere apertamente, prima di tutto a te stesso, le tue debolezze). Oppure è successo effettivamente a qualcuno che conosci. Ma la cosa tragicomica è che continua ad accadere ogni giorno, perché non riesci a liberarti dalle ansie e dalle manie che ti affliggono o di quelli che ti stanno intorno, impresa in cui il mondo circostante non ti aiuta di certo. E se davvero te ne sbarazzassi, puntualmente qualche altro originale, insidioso e ridicolo atteggiamento o personaggio prenderebbe il loro posto.
Potrei chiedere ad un mio collega di scrivere il pezzo al posto mio, visto che è stato proprio lui a suggerirmi lo spettacolo: è la persona ideale, anche perché alla fine ci sono andato da solo e lui non è venuto, quindi deve per forza saperne molto più di me. Però non ho il suo numero e bisogna pubblicare entro sera. Ancora vuoto.
Di fronte alla pagina quasi tutta bianca del blocco note di Office (non ho mai pagato la licenza di Word e sono troppo pigro per scaricarne una copia crackata) in attesa di idee che non arrivano, inganno il tempo giocando coi tasti di spostamento: devo assolutamente premere “in basso” e “a destra” 13 volte ciascuno, se no il programma di videoscrittura potrebbe non capire che voglio davvero il cursore all’estremo margine destro dell’ultima riga in basso, facendomelo comparire per ripicca in un punto qualsiasi del testo, magari senza farlo lampeggiare come al solito, così col piffero che lo ritrovo. Sono inequivocabilmente un caso da Pensiero Anomalo.
Per capirci: quando lasci la macchina in un parcheggio a pagamento, ti capita mai di tornare indietro 5-6 volte pensando di averla lasciata aperta? E ogni volta che torni indietro ti ripeti mentalmente, quasi a sfidare te stesso, cose del tipo: “Ma sì che l’ho chiusa! Vuoi che sia così imbecille da andarmene senza aver chiuso la macchina?!” E magari vai avanti in questo modo fino alla volta “N”, dove N è un numero dal significato particolare, scelto per te dalla tua mania ossessiva-compulsiva della chiusura centralizzata, che anche con questi piccoli dettagli vuole rinfacciarti di avere una personalità più forte della tua. A quel punto hai raggiunto il limite e ti imponi: “Se sono un Uomo (o una Donna, non ha importanza, purché sia scritto colla maiuscola), devo smetterla! L’ho chiusa senz’altro! E se non fosse così, ‘fanculo! Che me la rubino!”. Il tutto in un crescendo dove le paranoie, le personalità multiple e l’autolesionismo se le alzano e se le schiacciano a vicenda. E ti fanno un mazzo così.
Vabbè, questa volta hai perso, ma se non altro riesci finalmente ad andartene, lasciando la macchina, chiusa o aperta che sia (il dubbio rimane), là dove l’hai parcheggiata. Un momento, però: il parcheggio è a pagamento… E se il biglietto del parchimetro non fosse bene in vista? Certo, lo hai lasciato sul cruscotto, ma se fosse scivolato sul pianale per la gioia di qualche vigile urbano? A quel punto il teatrino si ripete e via a consumarti le scarpe in 20 m di marciapiede, che ormai sono più gommati della pista di un autodromo all’ultimo giro di gara. Mentre tu celebri le tue patologie psichiche col rituale del parcheggio, la gente intorno ti guarda malissimo, neppure la zingara che chiede l’elemosina a tutti, si azzarda ad avvicinarti. Di sera poi, potresti trovarti a dare improbabili spiegazioni sul tuo comportamento in una caserma dei Carabinieri.
In casi come questo il Pensiero Anomalo è un valido strumento di sopravvivenza per chi si rende conto del problema e conserva un barlume di lucidità per volerlo risolvere, ma offre anche qualche prezioso spunto di riflessione a coloro che sono completamente ottenebrati. Applicando la teoria all’esempio precedente, si potrebbe tenere in macchina una scatola di quei chiodini che si usano per attaccare i quadri alle pareti: in fin dei conti, anche quando dovrai venderla, chi vuoi che si accorga che un angolo del cruscotto sembra mangiato dai tarli?
Ridendo di gente così, ridiamo di noi stessi, perché alla fine, ciascuno colle proprie particolarità, siamo tutti combinati alla stessa maniera, siamo “diversamente deliranti”. Di qui la rilevanza sociale e non solo individuale del Pensiero Anomalo, che si applica, quindi, anche alla collettività nel suo complesso.
In conclusione se tu o una delle tue personalità multiple vi riconoscete in questo disagio, allo spettacolo di Stefano Dongetti potrete imparare un metodo utile per sfangarla o semplicemente vi sentirete meno soli.
Pupkin Kabarett Associati
“IL TITOLO CE L’HA MIO CUGINO”
Una introduzione al pensiero anomalo con vividi esempi
di e con: Stefano Dongetti
musiche dal vivo: Luca Colussi e Franco Trisciuzzi
Spettacoli presso il Teatro Miela di Trieste
Orari: venerdì 2, sabato 3 e domenica 4 maggio ore 21.30
P.S. :La presente recensione non ha alcuna pretesa di offrire agli sventurati lettori un testo coerente o sensato, quindi se trovaste delle incongruenze non rimaniate sorpresi. Preoccupatevi piuttosto del contrario.