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Addio al tenore Carlo Bergonzi

Detesto i coccodrilli, quelli che puzzano d’incenso al pari degli sfoghi – ignobili – vili e rancorosi. Probabilmente l’onestà intellettuale è quanto di più corretto e rispettoso si possa offrire alla memoria di chi non c’è più. In passato ho molto ammirato Carlo Bergonzi, per il prodigioso controllo strumentale della voce, per la carriera di cui è stato capace, probabilmente anche in ossequio alla vulgata che l’ha sempre incoronato “Tenore Verdiano” per antonomasia. Con il passare del tempo e l’affinarsi dell’esperienza, con l’abbandono, faticoso, di certe imposture o credenze fideistiche che, per misteriose ragioni, affliggono il mondo del melodramma, mi sono spostato su altre posizioni, convincendomi del fatto che l’opera sia anzitutto teatro e che la tecnica canora debba servire l’interpretazione e non proporsi come arte essa stessa. Mia discutibile convinzione, sia chiaro.

Mi rendo conto di quanto sia difficile, nell’approcciare alle arti umane, scindere il gusto personale dall’oggettività dei fatti, eppure, almeno tra gli addetti ai lavori, questa dovrebbe essere la regola. Carlo Bergonzi non è stato il più grande tenore verdiano, non fu un cantante insuperabile (pur dominando le onanistiche classifiche di chi sa – o crede di sapere – quale sia il modo corretto di cantare) e non è nemmeno paradigmatico nel repertorio del Bussetano. Non lo è semplicemente perché graduatorie di questo tipo lasciano il tempo che trovano.

Tuttavia egli è stato un artista fondamentale. Bergonzi è stato un pioniere, un interprete che ha radicalmente cambiato l’approccio al canto ed allo spartito, che ha sconvolto gli orizzonti estetici di un’epoca ed ha segnato quelli delle epoche successive. Lo dice la storia dell’interpretazione. Se non ci fosse stato Bergonzi, oggi si canterebbe probabilmente in altro modo. Non è forse questo il massimo traguardo cui un artista possa aspirare, segnare la storia del mondo a cui appartiene?
Scriveva ieri Anne Midgette, sul Washington Post, che oggi Bergonzi non sarebbe diventato la celebrità che è stato. Lo penso anch’io e credo sia giusto così. Eppure ai suoi tempi fu un numero uno, un maestro cui dobbiamo gratitudine.

Paolo Locatelli
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About Paolo Locatelli

Giornalista e critico musicale.

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