Un minuto di silenzio. Quanti ne saranno passati, da quel 27 gennaio 1945, quando i carri armati sovietici sfondarono le recinzioni del campo di sterminio di Auschwitz, liberandone i prigionieri? Ogni anno celebriamo la Giornata della Memoria, guardiamo vecchi filmati, ascoltiamo testimonianze e ci indigniamo per quel passato orribile, gridando che certi avvenimenti non devono più ripetersi.
Ma il minuto passa veloce, lasciando spazio a mille altri pensieri, rumori, mentre si chiude tutto tra le pagine dei libri di storia. Ignoriamo gli occhi di quelle persone ridotte a scheletri più o meno viventi, perché le stesse immagini riempiono ogni giorno i notiziari, i quotidiani, legati a notizie che arrivano dall’altra parte del mondo. E turbano le nostre giornate, non possiamo farci carico del mondo intero, suvvia…
È troppo ipocrita sostenere slogan come “ricordare perché non accada più”, perché le stesse cose accadono oggi, in questo preciso istante. Il 27 gennaio è, oltretutto, il giorno in cui ricordare l’orrore di tutti, la sofferenza di tutte quelle persone che hanno subito sulla propria pelle l’abominio dell’odio, della guerra ma si relega tutto a una cosa sola. Fiumi di inchiostro sono stati versati per risvegliare la coscienza comune, ma tutto finisce nel disperdersi nel vuoto, parole lanciate fuori dal balcone della storia.
Così la parola “sterminio” viene usata ancora oggi, dai Curdi fino al Ruanda, dalla Birmania passando per la penisola balcanica, a due passi da casa nostra. Incubi macchiati di sangue sfruttati da fazioni politiche barbariche, pronte a racimolare consensi citando fatti che spesso nemmeno loro conoscono così bene. “E le foibe?” protestano i fascisti, quando si parla di Shoa o di ciò che gli italiani fecero agli slavi durante il Ventennio. Come se ci fosse una “par condicio” per cui non si può parlare di nulla, altrimenti qualcuno se ne risente.
Ma bisogna parlare del massacro perpetrato nel Carso finita la Seconda Guerra Mondiale, come di quello che subirono gli oppositori di Tito nell’ex Jugoslavia, o il disprezzo disumano verso gli istriani e dalmati tornati in Italia. Non si deve chiudere gli occhi su nulla, a questo serve la Giornata della Memoria ma non basta: bisogna ricordare ogni giorno, non come vittime ma per cambiare veramente il futuro. O quantomeno non essere schifosamente ipocriti, sventolando una volta all’anno le bandiere della pace.
Timothy Dissegna