Giovedì 5 marzo alle 21.15 gli amanti del genio di Nick Cave non possono mancare l’appuntamento a Cinemazero con “20.000 Days on Earth”, il film in cui il grande cantautore australiano interpreta sé stesso, raccontando una sua immaginaria giornata.
Nel 2012, al compimento dei suoi 55 anni, Nick Cave, leader dei The Bad Seeds, compositore, scrittore e sceneggiatore, calcola di aver trascorso 20.000 giorni sulla Terra. Prima che sia troppo tardi, o lo facciano altri, si convince a interpretare (e dare la sua voce narrante) una giornata autobiografica costruita fino all’ultimo dettaglio: dalla sveglia mattutina alle prove in sala d’incisione, dalla messa in scena di sedute psicanalitiche agli incontri surreali con alcuni rilevanti collaboratori, fino alla discesa fisica nel sottosuolo del proprio archivio.
In fuga dal documentario musicale convenzionale, Cave si affida a Iain Forsyth e Jane Pollard, noti visual artists britannici esordienti nel lungometraggio e ispirati dalle riprese realizzate a La Fabrique, studio di registrazione dello struggente Push the Sky Away (2013), che dà i brani al film. I due sono anche autori di una ricreazione live minuziosa dell’ultima performance di Bowie nei panni di Ziggy Stardust (A Rock ‘N’ Roll Suicide, 1998).
Spinto dall’urgenza del tempo, dal terrore di perdere la memoria, per lui sinonimo d’ispirazione, non rievoca la propria storia carriera, né specula sugli eccessi (solo due veloci accenni alla dipendenza e a Michael Hutchence degli INXS); semplicemente, si mette in scena con l’aiuto dei suoi amici. Basta una battuta sui pasti consumati con il braccio destro Warren Ellis per dare il senso, in una bizzarra parentesi culinaria, di quanto il lavoro artistico possa essere tirannico.
Lo psichiatra Darian Leader è presenza funzionale a far riaffiorare ricordi e impressioni che hanno ispirato e affollano il mondo fantastico e violento che nutre il suo repertorio. Mentre le sue perlustrazioni in auto per Brighton fanno apparire sulla Jaguar collaboratori cruciali: l’attore Ray Winstone (interprete di La proposta di John Hillcoat, di cui Cave scrisse la sceneggiatura), il chitarrista Blixa Bargeld (con cui non parla da quando nel 2003 lasciò i The Bad Seeds) e la popstar Kylie Minogue (insieme incisero Where the Wild Roses Grow nel ’95). Tre suggestioni fantasmatiche sulla fragilità della creatività. In un vertiginoso equilibrio tra autoesaltazione e demistificazione, Cave definisce in chiave fiction la propria idea di songwriting: operazione di cannibalismo, esercizio costante di recupero d’immagini dal passato, collisione di opposti, disciplina di scrittura (anche sul clima di Brighton). E trascendenza, rapimento sul palco, dove la sua musica diventa di altri e lui diventa un altro, come esemplifica l’accelerazione ritmica del finale di Jubilee Street al Sydney Opera House. Potenzialmente irritante per il suo carattere manipolatorio, Nick Cave – 20.000 Days on Earth è un seducente trionfo di vanità e candore, una scoperta finzione che distilla momenti di onestà e verità taglienti. L’artificio esibito, come una chioma corvina, di un uomo che idolatra se stesso quanto l’arte della narrazione.