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AL MIELA :Le cattive strade di Giulio Casale e Andrea Scanzi

Impeccabile.
Andando a vedere uno spettacolo documentario su De Andrè il timore è di incappare in una celebrazione piatta nella sua enfasi e incapace di rendere un artista che a sedici anni dalla scomparsa ancora riscuote interesse da  parte di un pubblico eterogeneo – alcuni magari nati proprio quando se ne andava – e il cui nome è impresso indelebilmente nella memoria della sua gente, prima ancora che nella storia della musica di uno dei periodi più complessi del passato recente.
La tentazione di ammettere la sua grandezza, rievocandolo come se fosse il Maestro irraggiungibile, sull’Arte del quale misurare quella di tutti gli altri cantautori è troppo forte in certi casi, ma fortunatamente non in questo. Scanzi e Casale hanno il merito prima di tutto di inquadrare un uomo che ha scelto di fare l’artista e che è cresciuto come artista, oltre che come uomo, dall’inizio della carriera fino all’epilogo. Le debolezze, i difetti, le cadute, i drammi personali non lo rendono affatto meno speciale, casomai il contrario. Loro due lo sanno, lo sentono e lo trasmettono alla grande. Il loro racconto è ironico quando è il caso di scherzare, analitico nei passaggi più tormentati, per poi lasciare il giudizio a chi li ascolta sugli eventi che non ne trovano – e forse non lo troveranno ancora per lungo tempo –  un giudizio unanime e definitivo, se questi fossero aggettivi che si possano usare nella musica e nell’arte in genere.
Gli arrangiamenti dei pezzi di Faber – accompagnati alla chitarra in acustico – sono sempre brillanti, vividi e di un’intensità a tratti struggente e il pubblico li riceve attraverso un’esecuzione calda, coinvolgente e precisa.
Se De Andrè, ora che non c’è più, può essere considerato a pieno titolo uno dei Cattivi Maestri, insomma uno di coloro a cui egli stesso s’ispirava, allora mi pare che Andrea e Giulio abbiano imparata la lezione e siano già sulla cattiva strada. Seguiteli. Alla svelta.
Luca Monna

 

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