Spregevole: un testo (di Dario D’Amato) e un’interpretazione unica (di Edoardo Pesce) che non a torto possono essere definite un vero e proprio “rosario della rabbia”, in scena dal 7 al 10 maggio al Teatro Ambra alla Garbatella di Roma. Diretto dal giovane regista Gabriele Galli, Pesce affronta un monologo duro e cruento che denuncia il rancore di un disincanto svanito, quello per la propria città, Roma, alla pari di qualsiasi amore scaduto.
Si tratta di uno spettacolo totalmente provocatorio, tanto ricco di denunce verbali quanto di ricerca di riconferme delle passate aspettative: “è il racconto di un uomo che si sta perdendo – afferma Edoardo Pesce in questa sua importante prova d’attore sul palco – e nel suo ordinario giorno di follia quotidiana si ritrova solo con le sue parole e con quelle dell’Antico Testamento. Stornellatore dell’odio, dell’insofferenza, scorretto, brutale eppure appassionato, quasi lirico, il protagonista prende la Città Eterna come uno spartito e ci cammina sopra, in una discesa siderale che parte come qualcosa che dovrebbe scatenare la risata per poi sprofondare nell’amarezza”.
Secondo D’Amato – autore di questa pièce già presentata in passato in forma di mise en espace da Francesco Pannofino e Massimiliano Bruno e ricomposta per l’occasione, riaggiornata, proprio per Edoardo Pesce – “qualcosa sta per succedere – e probabilmente molto è già successo – nella vita del protagonista. Per espiare una colpa se la prende con la città che l’ha generato. Questa liturgia della disperazione, espressa goccia dopo goccia in un elenco del peggio e attraverso un’aggressività verbale minatoria, in qualche modo, alla fine, lo purifica. Lasciando però nel finale negli spettatori un’incognita interpretativa basata sull’eterna dialettica tra Bene e Male”.
“Spregevole è il viaggio dentro la mente andata a male di un uomo – dichiara il regista Galli – Un uomo dichiaratamente Spregevole: è l’acido percorso a ritroso, dal veleno del presente a quella sofferenza che l’ha portato a spruzzarlo sul mondo; su tutto ciò che non è sé stesso. Il personaggio in scena è l’antagonista, ma il protagonista siamo noi, o meglio è il pubblico, che allo stesso tempo è oggetto e spettatore. Come se dall’interno di una bolla di sapone che di tanto in tanto viene fatta esplodere, decidesse prima di farsi spiare e poi improvvisamente di tenere una lezione su come si fa ad essere ad essere Spregevole. E come ogni cattivo che si rispetti, ci appassiona e parteggiamo per lui, di nascosto, più di quanto la nostra morale ci permette di esprimere. In attesa di una redenzione che lui stesso non vuole.”
Chiuso nel suo mondo, sulle tavole di un palcoscenico claustrofobico, l’attore si fa oratore in un luogo libero dove potersi esprimere, dove non esistono giudizi morali, ma dove il mondo esterno, di tanto in tanto bussa alla porta, e in quel momento, all’improvviso, sarà lui stesso a dover fare i conti col destino.