Ieri sera nella sala principale del Politeama Rossetti, davanti a un numeroso pubblico, è andata in scena la prima dello spettacolo Goli Otok, l’Isola della Libertà. Una rappresentazione incisiva ed emozionante a cura degli attori Elio De Capitani, il quale vestiva i panni del comunista fiumano Aldo Juretich e Renato Sarti, nei panni del medico che visitava un Juretich ormai anziano, nella sua casa di Monza. Nelle tempeste che hanno interessato l’Europa del XX secolo, purtroppo non sono distinguibili i lager nazisti o i gulag sovietici. Del campo di concentramento di Goli Otok, l’isola Calva dell’Adriatico sulla quale Tito, dal 1948 al 1956, deportò tutti gli slavi che si erano schierati con Stalin, si è sempre parlato poco, men che meno tra i banchi di scuola. Ecco perché Goli Otok – Isola della libertà, è uno spettacolo che dà un buon colpo di spazzola per la memoria: cancella i dubbi e porta a conoscenza la dolorosa verità. Non a caso andrebbe fatto vedere ai ragazzi che si avviano all’ età adulta senza conoscere molto spesso una parte importante della recente storia europea, soprattutto al giorno d’oggi in cui molte guerre vengono combattute non lontano da noi. Le interpretazioni dei protagonisti hanno fatto la differenza: rendendo il dialogo – tra il paziente Aldo Juretich e il medico, di origini croate, che lo sollecita a raccontare la propria esperienza in campo di concentramento – un racconto fitto e sentito, intessuto dell’esperienza di un uomo che sebbene sia tornato alla vita normale, non può dimenticare il dolore del passato. Per inciso: Aldo Juretich finì nel lager all’ indomani della Seconda Guerra Mondiale, con altri esponenti della Resistenza jugoslava. Guerriglieri, ma anche eroi di Spagna, comandanti partigiani, notabili del Partito Comunista Jugoslavo, artisti. Arrestato negli anni dell’università, in quanto traditore poichè avverso alla politica di Tito, dopo sei mesi in carcere Aldo fu deportato a Goli Otok nella stiva di una nave. Qui avrebbe passato diversi anni, costretto ai lavori forzati e a condizioni di vita impietose fino alla progressiva perdita della dignità umana. Il racconto non si ferma però al periodo di reclusione, ma prosegue fino agli anni successivi e a quelli più recenti, in cui il fantasma di Goli Otok continua a convivere con Aldo, perseguitato dal terrore di essere riconosciuto, denunciato, di poter mettere a rischio l’incolumità dei suoi cari in una vita irrimediabilmente legata al passato. Del resto, il principio sul quale si reggeva il sistema di Goli Otok era quello del “ravvedimento”. Il prigioniero doveva correggere la propria posizione. Per dimostrarlo occorreva massacrare gli ex compagni, i propri amici, a volte i più stretti familiari. Le mogli degli internati che rimanevano a casa, per dimostrare di non essere staliniste, dovevano divorziare. La scrittura asciutta di Sarti e la forza delle testimonianze riescono a tenere viva l’attenzione – nonostante il palco disadorno; la predominanza del nero e la frequenza dei botta e risposta, oltre all’ottima interpretazione di entrambi i protagonisti fanno di questa lettura scenica un momento importante di teatro civile. Ciò che non si è potuto apprendere a scuola, può sempre essere recuperato a teatro. Dopo circa un’ora e mezza nella quale il pubblico ammirava in un rispettoso ed emotivo silenzio, gli attori hanno lasciato il palco fra scrosci di applausi. Lo spettacolo andrà in replica fino a domenica 17 maggio.
Andrea Forliano