Si dice che il Fastaff di Giuseppe Verdi sia opera da grandi direttori ancor prima che da grandi cantanti e, come in ogni luogo comune, un fondo di verità c’è. Non perché la partitura richieda doti di virtuoso fuori dal comune, benché la quadratura ritmica di certe pagine sia tutt’altro che scontata, quanto piuttosto per la complessità esegetica del disegno generale, la necessità di incastonare ogni dettaglio, e i dettagli nel Falstaff sono un’infinità, in una visione più ampia. Quando Verdi scrisse quest’opera aveva ottant’anni, una fama oceanica e niente da dimostrare a nessuno. Nella musica tutto ciò è lampante: ogni invenzione ritmica e cromatica serve esclusivamente il teatro, versi e musica sono pressoché inscindibili e l’azione ne scaturisce con una naturalezza più unica che rara. Si comprende quindi come il direttore debba saper valorizzare tale alchimia, resistendo alla tentazione di “suonarsi addosso”. José Miguel Pérez Sierra è un giovane maestro semisconosciuto che sta muovendo i primi passi nel teatro musicale; la sua prova nel Falstaff in scena al Teatro Verdi di Trieste lascia intravedere un musicista dotato di talento e, soprattutto, di intelligenza. L’intelligenza di chi sa capire il lavoro che sta affrontando e la contingenza in cui è chiamato a farlo: Pérez Sierra non mette alle corde l’orchestra con richieste implausibili, tutt’altro, sollecita una narrazione distesa, colma di buonsenso, ben calibrata nei volumi e nei colori. I musicisti rispondono offrendo una prova di buon livello e dimostrando, una volta in più, di appartenere ad una compagine di notevole qualità e duttilità. Altro merito da riconoscere al maestro è il rispetto per il dettato verdiano, ripulito da molti malvezzi tradizionali ed impreziosito da diverse idee originali.
La regia di Mariano Bauduin ha un pregio non indifferente: la vivacità. Lo spettacolo si rifà ad un modello di teatro antico in cui si ottiene molto da poco, le scene di Nicola Rubertelli (teli dipinti come fondali e pochi elementi sul palco) aiutano l’azione, rendendo lo svolgimento agile e brillante. Si potranno poi discutere talune scelte specifiche (Bardolfo che annuisce alle domande retoriche di Falstaff sull’onore è trovata tra le più fruste ed abusate) ma, nel complesso, lo spettacolo funziona.
Purtroppo l’esecuzione vocale si attesta su un livello decisamente meno soddisfacente; non convince il protagonista Alberto Mastromarino il quale, nonostante la discreta presenza scenica, pena non poco nel canto e nella tenuta ritmica della parte. Il resto del cast, fatta salva qualche eccezione (su tutti la Quickly della brava Giovanna Lanza), suscita più d’una riserva. Repliche fino al 5 luglio.
Paolo Locatelli
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