Il viaggio è la metafora della vita. Partiamo sempre da un punto per raggiungere una meta ma se non ci fermiamo un attimo, anche poche volte, per guardarci attorno non capiremo mai chi siamo e chi stiamo diventando. Vi proponiamo la seconda lettera di una studentessa, di una giovane donna che da sola è partita…
È da due mesi che girovago per una città come Parigi.
Non lo so ancora se me ne sto rendendo davvero conto. La consapevolezza la si ha sempre con il senno di poi. In fondo chi è che disse che noi viviamo il nostro passato, mentre il presente ci sfugge inafferrabile? Credo sia così.
A Parigi vedo molte cose, faccio esperienze. Mi piace scoprire, ogni angolo, ogni squarcio, ogni immagine, io cammino, butto l’occhio, mi soffermo, mi lascio andare, e poi continuo.Voglio scoprire dei luoghi, voglio fermare delle istantanee nella mia mente per arrivare a dire qualcosa di me. È sempre così in fin dei conti, tutto è finalizzato alla terribilmente faticosa ricerca del Sé.
Ecco, io cerco qualche spunto di me a Parigi. A Parigi e perché non altrove? Ottima domanda!La risposta potrebbe iniziare così:
A Parigi ci sono i tetti, molti sono blu, altri nascondono piccole mansardine dove giovani coinquilini danno delle “très sympa” festicciole tra amici, altri hanno delle statue come decorazione.
A Parigi ci sono i giardini, che ora si esaltano dei colori dell’autunno, ultimo sussulto di vita prima della morte dei mesi freddi, e ci sono i cimiteri, grandi, affollati di gente famosa, allegri.
A Parigi ci sono i localini che solo i francesi ti possono consigliare, quelli ricercati, quelli volutamente radical chic, quelli dove io mi trovo da dio.
A Parigi c’è il fiume, c’è il lungofiume, c’è un salice sul lungofiume, ci sono i giovani che si sdraiano sotto il salice del lungofiume, abbagliati dal riflesso della luce del primo pomeriggio.
A Parigi ci sono i ponti, e ognuno ti offre una prospettiva diversa.
A Parigi ci sono dei musicisti che improvvisano concerti di gran livello per le strade, con il cappello per le offerte pur non avendone bisogno.
A Parigi ci son quelli che ti chiedono l’elemosina per davvero. Ci sono le famiglie che dormono accampate per le strade, bambini, cani, c’è di tutto. Poveri fino al midollo.
A Parigi ci sono i matti, quelli che non hanno più niente nella vita e si buttano per terra blaterando qualche oracolo misterioso con in mano una bottiglia di vino, unica compagnia in grado di scaldarli.
A Parigi ci sono le gallerie d’arte, dove entri e ti ritrovi con lo champagne in mano con un critico che tenta di venderti una stampa post-moderna-futurista-ecchessoio da 4000 euro, scambiandoti per una collezionista di vecchia data.
A Parigi ci sono le mostre fotografiche per la strada, che ti raccontano storie del mondo.
A Parigi, e più precisamente nella piazza Bastille, simbolo di rivoluzione e progressismo, ci sono le manifestazioni, quante ne vuoi, quando ne vuoi.
A Parigi ci sono i dolci, sono loro che dalle vetrine delle “pastisseries” ti guardano, ti scelgono, ti dicono entra comprami e assaggiami, ti innamorerai.
A Parigi ci sono i ristoranti dove se ci vai in 4 già non c’è posto, perché i tavoli sono per due. A Parigi se sei una coppia, etero o gay che sia, ti danno aiuti economici. A Parigi se sei gay ti becchi i locali più belli. A Parigi c’è “Le salon du marriage et du pacs”, ovvero del matrimonio e delle coppie di fatto. È proprio la città dell’amore.Ma a Parigi ci sono anche le persone che mentre sbraiti e piangi disperata perché ti hanno rubato la borsetta, nemmeno ti guardano.
A Parigi ci sono i topolini nella metropolitana, sono più mingherlini, più piccolini, più impauriti dei ratti delle campagne della bassa friulana.
A Parigi ci sono i ragazzi che ti parlano di storie serie, di famiglia e di figli. A Parigi ci sono quelli che quando passi ti fanno i commenti peggiori. A Parigi ci sono quelli che ti porterebbero volentieri a letto per una notte e tanti saluti. Niente di diverso dal resto del mondo quindi.
A Parigi ci sono i ragazzi che si ubriacano nei bar, come in Friuli. A Parigi ci sono Zara, H&M, Mango, come in Friuli. A Parigi ci sono quelli per cui il calcio è la ragione di vita, come in Friuli. A Parigi vai a mangiare al McDonald’s, alla pizza al taglio, dal kebabbaro sotto casa, come in Friuli.
A Parigi all’inizio credi di essere in una metropoli, dove ti passa accanto gente che non rivedrai sicuramente mai più, e invece poi, piano piano, ti accorgi che qualcuno lo rincontri, magari il clochard che suona l’arpa e si mette ogni lunedì in quella precisa stazione della metro, oppure quella giovane stravagante vestita di nero con evidenti problemi psichiatrici che avevi per caso osservato in un bar, lei ti guarda, tu la guardi, ci si riconosce e ci si sente a casa. Casa, maison, chez moi, tanti modi diversi per un unico concetto di appartenenza ad un luogo, un posto che abbia una corrispondenza con il tuo vissuto, con la tua essenza.Ed ecco che son finita per fare, come al mio solito, un elenco lungo, forse prolisso, quasi sicuramente sconclusionato, di certo non in grado di rispondere con chiarezza alla domanda perché Parigi e non altrove.
Eppure questi elenchi qualcosa raccontano, giusto qualche immagine presa qua e là.
Eppure qualcosa si muove dentro di me, qualcosa prende forma. È un qualcosa che mi tiene indissolubilmente legata alla mia origine, alla mia famiglia, alla mia terra, ma che mi porta a guardare oltre, a cercare fra mille persone, fra mille sguardi, fra mille angoli.
Eppure il ricordo del passato è sempre vivo in me, ma la voglia di futuro cresce esponenzialmente.
Eppure una cosa a Parigi non c’è. Il tramonto sulla Senna, per quanto oggettivamente emozionante ed esteticamente perfetto, il mio cuore non riuscirà mai a paragonarlo a quella luce grigiastra, a quella nebbiolina palpabile, a quel giallognolo che diventa rosato per ritrovarsi ad essere notte, a quel profumo di erba bagnaticcia, a quel senso di solitudine malinconica e tutto sommato piacevole, che solo il tramonto della mia terra mi può regalare.© Riproduzione riservata