Sulla rivista “Natural Hazards and Earth System Science” uno studio condotto da OGS e INGV illustra che la presenza di giacimenti produttivi di metano può indicare che le sottostanti faglie sismogeniche non sono in grado di generare forti terremoti
Come conciliare l’opportunità di utilizzare le risorse energetiche che il territorio offre con il diritto alla sicurezza di tutti i cittadini? Una ricerca condotta da OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale) e INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ha documentato un meccanismo che lega la presenza di giacimenti di metano a quei processi geodinamici che ne hanno permesso l’accumulo e che generano i terremoti. I risultati illustrano che la presenza di giacimenti produttivi indica che le sottostanti faglie sismogeniche non sono in grado di generare forti terremoti.
LO STUDIO OGS-INGV. Marco Mucciarelli e Federica Donda, ricercatori dell’OGS di Trieste, e Gianluca Valensise, dell’INGV di Roma, hanno cercato di capire quali possano essere le conseguenze di un terremoto su un giacimento di idrocarburi. I tre ricercatori hanno selezionato un’area di circa 10.000 km2 nella porzione sud-orientale della Pianura Padana, da cui proviene molto del metano estratto in Italia e che è anche esposta ai terremoti, come dimostra la sequenza sismica del 2012 che ha scosso l’Emilia. Hanno poi consultato una banca-dati ministeriale di pozzi perforati da varie compagnie petrolifere, analizzandone 455 e suddividendoli in produttivi e improduttivi. Infine li hanno messi su una mappa insieme alle faglie sismogeniche responsabili di quattro forti terremoti della zona (le due scosse del 20 e 29 maggio 2012 più i forti terremoti di Ferrara del 1570 e di Argenta del 1624), messe a disposizione da una banca-dati dell’INGV.
I RISULTATI. La ricerca, pubblicata sulla rivista “Natural Hazards and Earth System Science” della European Geophysical Union, mostra che nell’area di studio i pozzi produttivi e le faglie sismogeniche sono anticorrelati, cioè quasi tutti i pozzi che ricadono al di sopra di una delle quattro faglie sono improduttivi, mentre quelli che ricadono al di fuori di esse sono produttivi in quasi un caso su due (46%). Secondo gli autori della ricerca questo risultato può essere spiegato in modo semplice e intuitivo, e ha almeno due importanti ricadute applicative per le aree caratterizzate dalla presenza di metano, di cui sono stati recentemente scoperti diversi giacimenti nei mari italiani.
“Sappiamo infatti che un forte terremoto è necessariamente causato dallo scorrimento relativo dei blocchi di roccia che formano una faglia di grandi dimensioni. E attraverso terremoti successivi questa faglia può fratturare il serbatoio naturale che contiene il metano, causandone la dispersione e rendendo improduttivo il giacimento. I giacimenti produttivi si troverebbero invece sopra faglie più piccole, in grado di causare solo terremoti più modesti, o in corrispondenza di faglie più grandi ma incapaci di generare terremoti per la particolare natura delle rocce che le formano”, spiegano.
Per quanto riguarda le ricadute applicative, la prima riguarda la possibilità di selezionare le faglie che potrebbero causare forti terremoti, che sarebbero solo quelle al di sopra delle quali non vi siano giacimenti di metano sfruttabili. La seconda, di particolare attualità in questi mesi, è il rovescio della medaglia della prima: sulla base di quanto emerso dallo studio, infatti, un giacimento produttivo non può trovarsi al di sopra di una faglia in grado di produrre un forte terremoto – dunque pericolosa – e ovviamente non vi è alcun interesse economico a sfruttare giacimenti quasi certamente improduttivi. Un risultato, questo, che potrebbe risultare utile per riconciliare l’utilizzo delle risorse energetiche del territorio con il sacrosanto diritto alla sicurezza per tutti i cittadini.
SISMICITÀ INDOTTA. I terremoti che nel maggio 2012 hanno scosso l’Emilia hanno definitivamente acceso i riflettori sulla sismicità indotta: un tema molto attuale in molti paesi industrializzati ma poco trattato in Italia, almeno fino a quel maggio di tre anni fa. Oggi il problema dei terremoti che potrebbero essere causati – o quantomeno innescati – da attività quali lo sfruttamento di idrocarburi, lo stoccaggio di metano in serbatoi naturali e lo sfruttamento di energia geotermica, è al centro del dibattito pubblico ed è fonte di notevoli preoccupazioni. Questo studio affronta il problema dal verso opposto: ovvero cercando di evidenziare le possibili conseguenze di un terremoto su un giacimento di metano