Continua la rassegna Parlesia dedicata alla nuova drammaturgia al Te.Co. Teatro di Contrabbando con il terzo appuntamento. Dal 4 al 6 dicembre andrà in scena Gianni Brail di e con Pietro Tammaro, per la regia di Pino Carbone e l’adattamento di Alberto Mele. Il monologo affronta vari temi, tra cui quello della malattia mentale vista ancora oggi solo dal punto di vista patologico.
Gianni Brail è un ragazzo omosessuale che ormai da tempo frequenta la clinica psichiatrica “Villa Chiara”. Una notte presso un locale notturno “la boca” ha un rapporto sessuale con un noto cantante neomelodico: “Rosy Raggio”. Dopo questo rapporto si convince di essere incinta, motivo per il quale viene rinchiuso per l’ennesima volta in clinica. Gianni ha un amico, “Tony”, transessuale di notte e uomo di giorno che lavora come manager per Rosy Raggio. Gianni è convinto che “Tony” faccia da tramite con “Rosy Raggio” e spesso si confida con lui.
Gianni vive la disperata condizione della malattia mentale. Spesso vittima dei cambi repentini d’umore dovuti all’essere bipolare. In clinica Gianni va fuori di senno più volte perché vuole uscire per andare da Rosy, il suo amore, e rivelargli che lui è incinta ed il padre è lui. Gianni cerca più volte di uscire dalla clinica, chiedendolo esplicitamente, asserendo in modi più o meno strambi e veritieri di essere guarito, di sentirsi sano. Nei suoi vari confronti con la dottoressa attinge a piene mani dal suo passato fatto di abusi, violenze e mancanze, cercando di usarli come scappatoia. Fino all’ultimo tentativo, dove inscena una completa confessione di ritrovata sanità mentale.
Note dell’autore
Era il 2013 quando fui ricoverato per la seconda volta presso la struttura Villa Chiara, il dipartimento di psichiatria di Napoli. Un agosto tremendo, vittima di canicole e manie di persecuzioni. Quando si entra in uno di questi posti, il primo pensiero lucido è quello di trovare un modo per venirne fuori. Il mio ce l’avevo sotto gli occhi, lì, fra lenzuola e grida, fra camici bianchi e sigarette: le storie di tutti noi.
Come nelle situazioni più inaspettate, fu la storia che scelse me. Si presentò sotto le sembianze di M.C., un allampanato signore sulla trentina che mi accolse con un aggraziato disagio che si trasformò quasi subito in un’inafferrabile intimità. Capii che la sua storia poteva raccontare quelli di tutti, me compreso. E fu così che scelsi di cominciare a scrivere Gianni Brail.
La prima idea che mi è balzata alla mente è stata quella di raccontare tutto in modo semplice. Come la racconterebbe un pazzo. Una storia semplice e assurda, come solo qui dentro potevano nascerne. Ho cercato sin da subito di mettere tutto in Gianni Brail: la malattia mentale, le violenze, i rapporti con la famiglia, l’omosessualità, la voglia di maternità, l’arte come unico veicolo di speranza e di salvezza. Un amore salvifico anche quando distorto, piegato, incompreso, urlato, violento. Tutto questo per me aveva inizialmente un unico scopo: rendermi libero.
E così, una volta terminata la mia degenza, ritornato negli strali di questa città allucinante e allucinata, ho cercato il modo per far sì che tutte le idee raccolte prendessero forma. Insieme all’autore e mio caro amico Alberto Mele abbiamo scelto una strada narrativa e drammatica per costruire un monologo che raccogliesse la necessità di raccontare tutte le implicazioni sociali, emotive e civili dell’essere pazzi in un mondo che ancora oggi contempla le malattie mentali solo da un punto di vista patologico. In Gianni Brail, un omosessuale bipolare ricoverato per l’ennesima volta, convinto di aspettare un bambino a seguito di uno stupro che lui non riesce a considerare come tale, convivono una serie di domande alle quali la società odierna sembra non voler dare risposte. A cosa serve la verità se non a renderci liberi? A chi possiamo chiedere aiuto, se non riusciamo a pagarne il prezzo? A cosa serve cercare di guarire se il mondo non è pronto ad accettarci così come siamo?
«Mamma’ mi diceva sempre che le cose rotte si possono aggiustare. Ma poi anche lei ha capito che certe cose non si aggiustano più».
Un lavoro proprio su qualcosa di rotto che non può essere aggiustato ma trasformato si. La sensazione è continuamente quella di un bambino che di fronte al suo giocattolo rotto cerca di giocarci ancora, dandogli un nuovo senso, cerca l’ispirazione, mentre gli altri gli ricordano che è semplicemente rotto. Un lavoro sulla verità, che non sempre è oggettiva. La verità che non sempre è comprensibile.( Pietro Tammaro)
Te.Co. – Teatro di Contrabbando Via Diocleziano, 316 – Fuorigrotta (NA)
Giorni e Orari: venerdì e sabato dalle 20:30 | domenica dalle 18:30
Per info e prenotazioni: 334 214 2550 – [email protected] – www.teatrodicontrabbando.com