30 dicembre. Arrivato a Varsavia, all’uscita dell’aeroporto, vengo fermato da un uomo: si offre di accompagnarmi all’hotel, e di cambiarmi i soldi, tirando fuori gli Zloty dal portafoglio. Una scena abbastanza tipica nell’immaginario che abbiamo dell’Europa dell’Est. Tipica come il paesaggio che mi si presenta guardando fuori dal finestrino, mentre cerco di spiegare dove si trova il mio hotel al “tassista”: palazzoni sovietici, strade larghissime e pianure sconfinate. Arrivando verso il centro si intravedono, però, i grattacieli di vetro scintillante, simbolo di una Polonia nuova; una Polonia che rappresenta il maggior successo nel passaggio al libero mercato tra i Paesi dell’ex blocco sovietico, ed un successo per l’Unione Europea, di cui sono stati da sempre sostenitori. La Polonia non ha praticamente subito la recessione, mantenendo negli ultimi anni un tasso medio di crescita del 4%.
Il “tassista” non parla Inglese, ma mastica un po’ di Russo: ancora oggi si sente parlare questa lingua fra le strade di Varsavia; non più nelle sedi governative sovietiche, ma nei bar e ristoranti del centro dove i ricchi turisti di Mosca e Pietroburgo vengono a spendere.
Il “tassista” mi racconta delle sue esperienze con gli Italiani durante gli europei di Calcio del 2012, mentre passiamo accanto allo spettacolare stadio, dove dice di aver visto Italia-Germania. Gli chiedo cosa pensa della vittoria del partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS) alle elezioni di Ottobre. Mi dice che c’era bisogno di cambiamento, dopo 8 anni di governo di centro-destra del partito Piattaforma Civica.
“Hanno rubato abbastanza”, dice. Com’è stato per il partito Fidesz di Viktor Orbàn in Ungheria, sull’onda di un malcontento generale, ed usando una retorica nazionalista, si è instaurato un governo “pseudo-democratico”. Un conservatorismo che rappresenta un’altra Polonia; una Polonia lontana da Varsavia, gremita di turisti in questo periodo, e dove l’Europa ha portato benessere, e dove i grattacieli spuntano come funghi; ma una Polonia rurale, profondamente cattolica, che guarda al modello ungherese.
Poche ore prima dell’inizio del nuovo anno, le strade sono piene di gente alla ricerca degli ultimi posti nei ristoranti e nei bar; Italiani, Tedeschi, Francesi si affannano nel traffico, tra le gelide sferzate di vento.
Avendo miracolosamente trovato un posticino, mi fermo a parlare con un cameriere in pausa. Mi spiega come almeno metà dei suoi amici lavorino in una qualche startup, che guadagnano tanto e come tutto sommato le cose vadano bene qui. Entrare nell’Euro? Neanche per sogno.
Mi dice che la religione cattolica li salverà dall’ISIS. Diritto e Giustizia, d’altronde, gode apertamente dell’appoggio del clero cattolico, da sempre al centro della vita politica polacca. Inutile dire che per le strade di Varsavia, così come in quelle ungheresi, difficilmente si trovano persone provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. Viktor Orbàn dichiarò di voler difendere il Cristianesimo in Europa, alzando le famose barriere al confine: qui in Polonia al momento i pericoli di “contaminazione” dall’esterno sembrano inesistenti. Contaminazione di tipo culturale, ma anche di contaminazione vera e propria, di cui parlò il leader del partito Jarosław Kaczyński a proposito delle malattie secondo lui trasportate dai rifugiati siriani. Parole che non hanno fatto piacere né a Bruxelles né a Berlino.
L’opposizione ad un’Europa germano-centrica, ad una democrazia apparentemente poco efficace, ad un’integrazione a tutti i costi, vince anche dove i vantaggi dell’Unione sono più visibili. A cosa porterà questa svolta verso un conservatorismo così radicale?
Piazza Zamkowy.
Dopo aver cenato mi dirigo verso piazza Zamkowy, parte del centro storico completamente ricostruito dopo che, insieme ad almeno l’85% della città, fu distrutto dai bombardamenti nazisti. Scocca la mezzanotte e si sparano i fuochi, tra l’entusiasmo della folla proveniente da tutta l’Europa.
Proprio poche ore prima, il 31 dicembre, è stata approvata dal parlamento polacco una contestata riforma, che richiama quella introdotta in Ungheria da Orbàn, che prevede l’immediata sospensione di tutti i componenti delle direzioni e dei consigli di amministrazione di media pubblici polacchi e conferisce al ministero del Tesoro la facoltà di scegliere i nuovi responsabili senza ricorrere a procedure concorsuali.
Inizia dunque un 2016 diverso, per la Polonia e per l’Europa. Lascio Varsavia leggendo di direttori della tv pubblica che si dimettono in massa per protestare contro la nuova legge, e degli avvertimenti di Bruxelles al governo, con la minaccia di una procedura per violazione dei valori europei fondamentali.
Guardo per l’ultima volta i palazzoni sovietici; simbolo di un passato lontano, sì, ma si sa che la storia, sotto forme diverse, trova sempre il modo per ripetersi.
Sullo sfondo, il Palazzo della Cultura e della Scienza, costruito sulla base dei famosi “grattacieli staliniani” di Mosca.
Testo e foto di Marco Serafini