Recensione – C’è del metodo in questa follia, anzi del genio. Sì perché ci vuole un’intelligenza luminosa per immaginare e realizzare un meccanismo a orologeria come quello che la Compagnie des Brigands ha portato a Venezia (teatro Malibran), grazie al sodalizio tra Teatro La Fenice e Palazzetto Bru Zane.
Si parla di Les Chevaliers de la Table Ronde, operetta di Hervé – a rigore opéra bouffe – che fa il verso all’arme, gli amori, le cortesie e le audaci imprese di un manipolo di eroi dell’epica cavalleresca. Soprattutto agli amori in realtà, vero motore della vicenda, poiché tutto il resto rimane sullo sfondo a sollecitare la corda della comicità.
Spettacolo geniale si diceva, di quelli permeati da coerenza e fantasia straordinarie, dove ogni gesto è studiato in funzione del teatro.
Se c’è qualcuno che, in un contesto ove tutto funziona alla perfezione, ha un merito in più degli altri, questi è il regista Pierre-André Weitz: due ore filate di spettacolo, senza intervalli e senza noia, ricche di idee, spunti, sorprese e divertimento. Ogni numero è brillantemente congegnato, il lavoro sugli attori (grazie anche alla complicità di Iris Florentin e Yacnoy Abreu Alfonso) è incredibile: movenze, mimica, vezzi, niente è lasciato al caso, nemmeno la dizione o le cadenze dialettali (irresistibile l’Orlando-bulletto-di-periferia). Non meno esaltante la caratterizzazione di ogni personaggio. Così la strega Melusina diventa una maitresse sadomaso che ricorda vagamente Frank-N-Furter, la Duchesse Totoche una tardona che divide le giornate tra shopping e pruriti extraconiugali. Angelica ha più della sorellastra bruttina che della principessa, Merlino è più ciarlatano che mago. Impagabile poi il Rodomont del bravissimo Damien Bigourdan, vera e propria maschera della commedia velata di ironica malinconia che richiama, nemmeno troppo velatamente, il Charlot di Chaplin.
Scene e costumi dello stesso Weitz e il disegno luci di Bertrand Killy concorrono alla riuscita del tutto.
Difficile trovare un solo elemento del cast che sia men che entusiasmante. Gli artisti in gioco sono bravi cantanti, eccellenti attori ma anche ballerini, mimi, acrobati, tutto ad alti livelli. Sarebbe inutile e sciocco soffermarsi sulla prova di uno anziché dell’altro o ponderare al grammo qualità e debolezze vocali del singolo. Questi Chevaliers sono uno di quei casi benedetti in cui la somma delle individualità viene doppiata, se non triplicata, dal collettivo e dove persino i difetti riescono a sembrare pregi irrinunciabili.
Christophe Grapperon poi sa sollecitare i pochi strumentisti dell’orchestrina Les Brigands a trovare una brillantezza di colori, ritmi e dinamiche tale da soddisfare al contempo le ragioni del teatro e quelle della musica.
Trionfo per tutta la compagnia, meritatissimo.
Paolo Locatelli
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