Recensione – L’Amico Fritz non è opera dalle grandi finezze psicologiche e drammaturgiche: tutto è facile facile, di un’immediatezza che a tratti sconfina nella banalità e che, probabilmente, al pubblico odierno ha poco da dire. Applicare in blocco questa sensibilità remota e distante, senza porsi il problema di rinfrescarne i tratti o cercare una chiave di lettura che la renda più facilmente digeribile, è una prassi che difficilmente renderà il lavoro di Mascagni più popolare e “invitante”.
Tutte queste questioni non sembrano sfiorare minimamente Simona Marchini, regista dello spettacolo in scena al Teatro La Fenice. Ne esce l’ennesimo Fritz da cartolina, coloratissimo nella confezione ma dalle emozioni in bianco e nero, stereotipato e manierato nella cornice e nei contenuti.
Anziché cercare di sfumare i contorni ridefinendo questi personaggi tutti cuore e buoni sentimenti con un taglio più moderno, la Marchini esalta la dimensione idilliaca e arcadica dell’opera, rendendo il quadro ancor più ingenuo di quanto non sia già. La recitazione poi, ridotta al minimo indispensabile, è convenzionale e completamente slegata dalla musica e tende, non di rado, a scivolare nella caricatura. Nella piattezza generale emerge qualche momento di comicità involontaria.
Il bozzettismo delle scene di Massimo Checchetto, non ispiratissimo, è funzionale all’impostazione. Da dimenticare i costumi di Carlos Tieppo.
Se lo spettacolo regge il merito va soprattutto all’esperto Fabrizio Maria Carminati, il quale concerta con mestiere e ammirevole senso del teatro. Non ci sono particolari finezze né una ricerca di suoni ammalianti ma tanta concretezza: il palco è sostenuto con attenzione, la narrazione procede serrata e senza cali di tensione. Carminati ci crede e non teme di sporcarsi le mani con qualche sonorità ruvida e sfuocata, che ci scappa ma trova un suo senso nel disegno generale. L’Intermezzo che introduce il terzo atto, ad esempio, non esce come un prodigio di raffinatezze musicali ma è pervaso di una sincerità che conquista il pubblico. L’Orchestra della Fenice lo asseconda al meglio.
Se la cava complessivamente bene il cast, pur con qualche riserva. Alessandro Scotto Di Luzio è un Fritz dal timbro accattivante e di bella presenza. Carmela Remigio è la grande musicista e fraseggiatrice che conosciamo ma probabilmente non trova in Suzel il terreno migliore per mettere in luce le proprie doti. Non irreprensibile nel canto ma ben calato nel personaggio Elia Fabbian, David.
Teresa Jervolino si disimpegna con onore nei panni di Beppe. Convincono William Corrò, Hanezò, il Federico del giovane Alessio Zanetti (al debutto, bravo!) e la Caterina di Anna Bordignon.
Ineccepibili gli interventi del coro della Fenice preparato da Claudio Marino Moretti.
Merita un elogio il bravo Roberto Baraldi, primo violino, eccellente protagonista nel solo del primo atto e giustamente festeggiato da pubblico e colleghi.
Paolo Locatelli
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