Ricky Russo (Trieste, 1973) laureato in Lettere Moderne con una tesi sulle origini del Punk-Movie all’Università di Trieste, è giornalista musicale, scrittore rock’n’roll, autore di programmi radio e tv, organizzatore di eventi musicali, guida turistica. Dal 2013 vive a New York. Ma continua a parlare il suo dialetto, el triestin. Lo miscela sapientemente all’italiano e all’inglese così da ottenere un irresistibile nuovo linguaggio: in questa raccolta troverete il suo esordio “Per Bon, For Real” del 2013 e due brevi racconti pubblicati successivamente, uno nel volume “Andare in cascetta” e l’altro sul quotidiano di Trieste, Il Piccolo.Un italiano come tanti si sarebbe fatto intimidire. Da un totem transnazionale come New York, dal ribollire di lingue che s’intrecciano nella Grande Mela, dal battito animale del rock, del rap, del funky e del metal che dilagano per le strade della megalopoli. E disegnano il profilo dell’America in un ritratto fatto di note leggendarie, di volti entrati nel mito, di storie che hanno tappezzato i muri delle camerette di tutti noi.Un italiano, non un triestino.Infatti Ricky Russo, che ha lasciato la sua casa in riva all’Adriatico per seguire la traiettoria del sogno americano, ha capito presto che lo slang della sua città, della Trieste dove parlano il dialetto perfino le statue in bronzo di Italo Svevo e James Joyce, porta dentro sé la stessa forza di quel ruminare parole di chi vive tra Manhattan e il Bronx. E che un “Daghe!” pronunciato con l’inconfondibile cantilena giuliana può fare da contraltare all’urlo nichilista dei Sex Pistols. Al “No future!” che ha regalato illusioni alla generazione del punk, rivoluzionando la musica. Perché spalanca davanti agli occhi degli States, ingolfati in un presente che ha la smorfia di Donald Trump, la filosofia tutta triestina del “Viva l’A e po’ bon”. Che vorrebbe dire: “Prendi la vita come viene e goditela”. Quasi fosse una postmoderna aggiunta al quattrocentesco insegnamento di Lorenzo de’ Medici “Di doman non v’è certezza”.Giornalista e dj che porta con sé il bagaglio di un’adolescenza vissuta tra la musica, i giochi di strada e le partitelle a basket con la futura “mosca atomica” della nazionale italiana Gianmarco Pozzecco, Ricky Russo ha trovato la via della scrittura raccontando il suo mondo. L’amore per i dischi, dal vinile in poi, l’insofferenza per un mondo prigioniero dei luoghi comuni, l’importanza dell’amicizia e degli affetti veri. Impastando all’italiano, che sempre più si scopre suddito di un inglese manierato, le invenzioni più pirotecniche del triestino. Quel dialetto anarchico e strafottente che ha saputo dettare alcune tra le ardite invenzioni lessicali al James Joyce dell’intraducibile capolavoro “Finnegans Wake”.Sono nati così racconti, storie inventate sull’asse Trieste-New York, frammenti di un’autobiografia che proiettano Ricky Russo al confine tra la narrativa più sperimentale e lo sberleffo in musica dei Ramones. Con un ritmo implacabile che sussurra a ogni riga: “Sta vita svola come un refolo de bora, e no xe mai tropo tardi per zercar de esser felici”.( INTRODUZIONE A DAGHE! di ALESSANDRO MEZZENA LONA)