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Adrenoleucodistrofia, quattro gli obiettivi: informazione-formazione, screening, prevenzione e lavoro di rete

Adrenoleucodistrofia, quattro gli obiettivi: informazione-formazione, screening, prevenzione e lavoro di rete

Occorre fare i conti con il fattore tempo. Obiettivi prioritari sottolineati dagli addetti ai lavori e dall’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia, presieduta da Valentina Fasano: migliorare gli interventi sul piano dell’assistenza lungo tutto l’arco di vita adeguando i LEA (livelli essenziali di assistenza) ad una patologia tanto grave, dare subito il via alla formazione dei medici di medicina generale e pediatri attraverso corsi ECM affinché coloro che rappresentano la prima interfaccia tra servizi ospedalieri e territoriali, tra specialisti e medici di famiglia, sappiano riconoscere i pazienti sintomatici e li indirizzino opportunamente ai centri di riferimento nazionale.

La Campania all’avanguardia con un progetto pilota, secondo in Europa solo all’Olanda, guidato dall’Azienda Ospedaliera dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, con responsabilità scientifica della professoressa Marina Melone, basato su informazione-formazione, screening precoce, prevenzione, e networking.
Una conferenza per confrontarsi con le istituzioni e tra esperti e addetti ai lavori sulle nuove frontiere di assistenza e di ricerca riguardanti l’Adrenoleucodistrofia (ALD), una delle più diffuse forme di leucodistrofia, dalla sintomatologia fortemente invalidante, e ad evoluzione talora rapidamente letale. Ad ospitare questo incontro-dibattito è stata la Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini (20 settembre 2017). Ad introdurre il dibattito la senatrice Laura Bianconi della XII Commissione permanente Igiene e Sanità che ha evidenziato come l’obiettivo dei prossimi mesi sia di aggiungere all’elenco delle malattie screenabili alla nascita altre malattie metaboliche ereditarie e altre malattie congenite di origine genetica, adottando gli strumenti legislativi più idonei. Attualmente si contano oltre 7mila malattie rare ed appare fondamentale una diagnosi appropriata e tempestiva per individuare i soggetti portatori di mutazioni genetiche.
A ricordare l’importanza di un sistema di assistenza sanitaria di tipo universalistico ma sostenibile, perché i costi possono essere molto alti, in assenza di strategie adeguate, è stato Nando Minnella, capo Segreteria Tecnica del Ministro della Salute, che ha sottolineato come sia nevralgico investire sulle tre direttrici del Sistema Sanitario Nazionale: assistenza, farmaci ed innovazione terapeutica.
Francesco Saverio Mennini, professore di Economia della Salute ed Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata, ha altresì, evidenziato come possibile obiettivo lo spostamento di parte delle risorse sui costi diretti, cioè sulle possibili terapie innovative oggi allo studio, andando così ad alleggerire i costi indiretti, cioè quelli sociali ed assistenziali, compresi i prepensionamenti per i familiari caregivers.
In Italia vi è un impatto atteso di 35-40 pazienti in più ogni anno, come sottolineano gli addetti ai lavori, con un’insorgenza dei sintomi della malattia in varie fasce di età, pediatrica, con la forma più grave, cerebrale infantile (definita C- ALD), adolescenziale tra i 10 ed i 15 anni, con la forma definita di Adrenomieloneuropatia (AMN) caratterizzata da un disturbo motorio spastico degli arti inferiori e la forma dell’adulto con varie espressioni cliniche, senza dimenticare l’insufficienza del corticosurrene che determina la malattia di Addison.
Attualmente si contano 200 pazienti diagnosticati su 3500-4mila attesi essendovi un incidenza stimata di 1: 15mila o 1: 17mila neonati per anno.
“La mutazione del gene ABCD1– spiega il professor Marco Cappa dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma – provoca un accumulo di acidi grassi a catena lunga e molto lunga nel surrene, dove provoca la malattia di Addison, nei testicoli e nel Sistema Nervoso Centrale, dove genera una progressiva perdita di mielina”.
Circa due terzi dei pazienti ALD si presenterà con la forma cerebrale infantile della malattia, che è la forma più grave. In poco tempo questi bambini perdono la capacità motoria, la vista, l’udito, presentano una grave compromissione dello stato di coscienza con crisi epilettiche e non sono più in grado di alimentarsi.
Secondo gli esperti la progressione negli adolescenti e negli adulti, con la forma AMN è più lenta e anche chi esprime un difetto di funzione del surrene, con la malattia di Addison, ha il 50% di possibilità di sviluppare sintomi neurologici.
“Nel 1994 – continua il professor Cappa – per la prima volta è stato aggiunto l’acido linoleico coniugato (CLA) all’olio di Lorenzo. Il CLA si è dimostrato capace di penetrare nel Sistema Nervoso Centrale riducendo l’infiammazione cerebrale”.
Attualmente è in uso l’Aldixyl, un prodotto perfezionato attraverso un processo di purificazione e attraverso l’aggiunta di sostanze che riducono gli stress ossidativi.
Secondo Cappa per i bambini con la forma cerebrale sarebbe necessario ricorrere al trapianto di midollo ma si deve intervenire nella cosiddetta finestra pre-sintomatica, un lasso di tempo piuttosto breve, o soprattutto quando i sintomi sono ancora lievi. Altrimenti il trapianto di midollo è inefficace.
Fondamentale effettuare lo screening alla nascita e monitorare costantemente i pazienti per agire tempestivamente senza affidarsi ad una diagnosi che, troppo spesso, attualmente, arriva in maniera frammentata, fortuita e spesso, purtroppo, tardiva.
“Si tratta – sottolinea Valentina Fasano, presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia – di una malattia estremamente invalidante ma misconosciuta. La difficoltà sta nell’interfacciarsi con un mondo che ignora la patologia e costruisce ostacoli continui per i pazienti. Attualmente solo 200 sono i pazienti diagnosticati. Se si pensa che i pazienti attesi sono alcune migliaia vuol dire che moltissimi non conoscono quale sia la loro malattia e non possono essere presi in carico dai centri di eccellenza. Per questo chiediamo alle istituzioni di intervenire a monte, perché è importante lo screening, ma è fondamentale procedere per passi e concentrarsi sulla diffusione dell’informazione sulla patologia, far partire da subito corsi di formazione ECM per medici e pediatri al fine di indirizzare i possibili malati ad effettuare un semplice esame, che individui la saturazione degli acidi grassi a catena lunga”.
Altro punto fondamentale su cui intervenire è la qualità e la continuità dell’assistenza per gli adulti già malati, facendoli rientrare in livelli di assistenza LEA adeguati ad una patologia di tale gravità, con il preciso scopo di garantirne dignità esistenziale assicurando loro la migliore qualità possibile di vita.
“Le Asl – continua Fasano – spesso impiegano tempi lunghissimi per erogare i presidi prescritti dai medici referenti della patologia o addirittura si rifiutano di farlo, negando ai pazienti un loro diritto”
Se alle Aziende Sanitarie Territoriali, secondo quanto ribadisce la presidente Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia arrivassero direttive vincolanti dal Ministero della Salute tutto sarebbe diverso.

“E’ una malattia legata al cromosoma X (ovvero legata al sesso), e quindi l’ALD si presenta, con marcata variabilità temporale e gravità di espressione clinica, più comunemente nei maschi, – spiega Marina Melone, professore di Neurologia presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli – tuttavia circa il 50% delle donne portatrici mostra alcuni sintomi, nel corso della vita; più frequentemente sintomi neurologici con disturbi motori degli arti inferiori, o più raramente sintomi endocrinologici, con segni di insufficienza surrenalica”.
Secondo quanto ribadisce Marina Melone abbassare il livello di acidi grassi a catena lunga e molto lunga nel sangue non vuol dire arrestare i sintomi leucodistrofici, perché ridurre l’attività infiammatoria reattiva del Sistema Nervoso, seppure importante non è determinante ai fini della evoluzione della malattia. E’ necessario invece intervenire precocemente o meglio nella finestra temporale presintomatica, per ridurre o evitare danni irreversibili del Sistema Nervoso, come ribadisce la stessa Melone.
Secondo gli esperti, per permettere di agire in tempo è necessario un nuovo paradigma sul fronte della formazione e della prevenzione Così, nel febbraio 2017 nasce a Napoli un progetto, presentato da Marina Melone, con il sostegno dell’Associazione Italiana di Adrenoleucodistrofia e recentemente finanziato dalla Regione Campania; progetto pilota che trova esempi simili solo in Olanda ed in alcuni stati del Nord America, tra cui lo stato di New York.
Il progetto, di durata triennale nell’Unità Operativa Complessa di Neurologia 2°-Centro di Riferimento per le malattie rare Neurologiche e Neuro-muscolari, dell’Azienda Ospedaliera dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli e prevede un nuovo percorso diagnostico terapeutico assistenziale nell’ALD/AMN, con una presa in carico lifelong, condizione necessaria, secondo Melone, per assicurare una adeguata assistenza a questi pazienti. Il primo anno di attività sarà dedicato all’informazione ed alla formazione di medici della medicina territoriale e di medici specialisti, così come dei laboratori di analisi per favorire nel secondo anno da parte degli operatori coinvolti, la identificazione precoce dei segni e sintomi della malattia realizzando quello screening che il piano progettuale fortemente prevede di sviluppare in ogni fascia d’età fino ad arrivare a quello neonatale (lo screening, secondo la proposta progettuale inizierà nella popolazione a rischio per poi essere allargato alla popolazione generale); il terzo anno è dedicato alla creazione di un networking tra varie realtà assistenziali e i Centri di Eccellenza presenti nelle diverse Regioni, per implementare un più adeguato piano nazionale nell’assistenza a questi pazienti sensibilizzando le istituzioni all’adozione di politiche di intervento sanitario adeguate, senza dimenticare gli investimenti sulla Ricerca.
Le nuove frontiere su cui alcuni ricercatori stanno lavorando riguarda, poi, la terapia genica.
“La terapia genica – evidenzia Gabriella Pasciullo, direttore medico per l’Italia della Bluebird Bio – si basa sull’aggiunta di una copia attiva del gene, che nel paziente risulta difettoso, al DNA. Una copia in grado di ripristinare la produzione della proteina capace di metabolizzare gli acidi grassi a catena lunga. Il “pezzettino” di DNA dovrebbe essere trasportato nelle cellule dei pazienti attraverso un vettore virale, privato del fattore patogeno e reso inattivo, denominato shuttle. Esso andrebbe così ad attecchire, divenendo parte del materiale genetico del paziente e dando il via alla produzione di cellule figlie in grado di sintetizzare la proteina”.
Schematizzando il processo si tratterebbe di produrre particelle virali dotate di potere terapeutico, isolare le cellule totipotenti target, reingegnerizzarle ex vivo e reinfondere nel paziente le cellule contenenti il gene attivo dopo “condizionamento”.
Un processo ancora allo studio, sottoposto attualmente ad una fase di follow up necessaria a confermare i dati preliminari sull’efficacia, la durata e la sicurezza, anche rispetto agli effetti collaterali, che potrebbero svilupparsi nel tempo.
Nell’attesa che venga completato l’iter di ricerca per poi avviare gli iter regolatori e l’inserimento negli iter terapeutici occorre fare i conti con il fattore tempo e migliorare gli interventi sul piano dell’assistenza lungo tutto l’arco di vita, rendere possibile uno screening tempestivo, che permetta di ricorrere al trapianto di midollo nei tempi giusti, inserendo tale strumento nei LEA (livelli essenziali di assistenza), e formare ed informare i medici ed i laboratori affinché riconoscano precocemente segni e sintomi della malattia ed indirizzino opportunamente i pazienti.
Una corsa contro il tempo che, attraverso una reale collaborazione sul campo, è possibile vincere.

Per informazioni: https://www.adrenoleucodistrofia.it/

Tania Sabatino

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