“Un intellettuale è un uomo che usa più parole del necessario per dire più di quanto sappia” sosteneva Dwight Eisenhower. L’intellettuale oggi – come anche in passato – è privato dei privilegi. La differenza è che oggi l’intellettuale non s’identifica col tipico eroe romantico, cioè questo tipo di flâneur, degli intellettuali per anni teso alla perenne ricerca della libertà. L’intellettuale contemporaneo è costretto a definirsi un professionista come professore dell’università (non ci sono molti oggi intellettuali all’università) come giornalista, o come consulente dei politici. E’ vero che oggi l’intellettuale non ha questo senso critico. Come hanno visto gli intellettuali la crisi pandemica con coronavirus?
Leonardo Sciascia scriveva per gli intellettuali: «L’intellettuale in Europa aveva un potere ed io credo che il vertice di questo potere sia stato esercitato da Zola e dai firmatari dell’appello di Zola al momento del processo Dreyfus. Poi è venuto l’inquinamento partitico, l’impegno devoluto alla sinistra: e ha molto inquinato, questo potere dell’intellettuale. Oggi il potere è in tutte altre mani, il potere è la televisione, il potere è la casa di moda. L’intellettuale non ha più nessun potere, comunque io continuo a scrivere come se ci credessi.»
Prima parte:
Raoul Vaneigem è un intellettuale con una storia con l’Internazionale Situazionista, che fondata nel 1957 da Guy Débord. Nel 1964, e fino al 1972, Raoul Vaneigem è redattore dell’Encyclopédie du monde actuel. A partire dal 1986 è redattore dell’Encyclopaedia Universalis assieme a Hans Magnus Enzensberger. Raoul Vaneigem vive a Lessines, è la sua città natale, una vita del tutto riservata e “sotterranea” che contrasta con la sua fama di rivoluzionario e di anarchico -per cui gli è stato coniato il soprannome di Vampire du Borinage. Come vede la pandemia di coronavirus Raoul Vaneigem. Dirà: «Ci voleva il coronavirus per dimostrare ai più limitati che la de-naturazione per ragioni di convenienza economica ha conseguenze disastrose sulla salute generale – quella che continua a essere gestita imperturbabilmente da una OMS le cui preziose statistiche fungono da palliativo della sparizione degli ospedali pubblici ? C’è una correlazione evidente tra il coronavirus e il collasso del capitalismo mondiale. Allo stesso tempo, appare non meno evidente che ciò che ricopre e sommerge l’epidemia del coronavirus è una peste emotiva, una paura nevrastenica, un panico che insieme dissimula le carenze terapeutiche e perpetua il male sconvolgendo il paziente. Durante le grandi pestilenze del passato, le popolazioni facevano penitenza e gridavano la loro colpa flagellandosi. I manager della disumanizzazione mondiale non hanno forse interesse a persuadere i popoli che non vi è scampo alla sorte miserabile che è loro riservata? Che non resta loro che la flagellazione della servitù volontaria? La formidabile macchina dei media non fa che rinverdire le vecchie menzogna del decreto celeste, impenetrabile, ineluttabile laddove il folle denaro ha soppiantato gli Dei sanguinari e capricciosi del passato […] Il nostro presente non è il confinamento che la sopravvivenza ci impone, è l’apertura a tutti i possibili. È sotto l’effetto del panico che lo Stato oligarchico è costretto ad adottare misure che ancora ieri decretava impossibili. È all’appello della vita e della terra da riparare che vogliamo rispondere. La quarantena è propizia alla riflessione. Il confinamento non abolisce la presenza della strada, la reinventa. Lasciatemi pensare, cum grano salis, che l’insurrezione della vita quotidiana ha virtù terapeutiche inaspettate.» Raoul Vaneigem rivista lundimatin #234.
Molti dicono che Giorgio Agamben è il più grande filosofo in Europa. Giorgio Agamben vede una
dittatura sanitaria con la pandemia di coronavirus sostiene: «Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente. Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre «religioni» si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del comune interesse […] Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale. Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia. Non sorprende che protagonista di questa nuova guerra di religione sia quella parte della scienza dove la dommatica è meno rigorosa e più forte l’aspetto pragmatico: la medicina, il cui oggetto immediato è il corpo vivente degli esseri umani. Proviamo a fissare i caratteri essenziali di questa fede vittoriosa con la quale dovremo fare i conti in misura crescente.
Il primo carattere è che la medicina, come il capitalismo, non ha bisogno di una dogmatica speciale, ma si limita a prendere in prestito dalla biologia i suoi concetti fondamentali. A differenza della biologia, tuttavia, essa articola questi concetti in senso gnostico-manicheo, cioè secondo un’esasperata opposizione dualistica. Vi è un dio o un principio maligno, la malattia, appunto, i cui agenti specifici sono i batteri e i virus, e un dio o un principio benefico, che non è la salute, ma la guarigione, i cui agenti cultuali sono i medici e la terapia. Come in ogni fede gnostica, i due principi sono chiaramente separati, ma nella prassi possono contaminarsi e il principio benefico e il medico che lo rappresenta possono sbagliare e collaborare inconsapevolmente con il loro nemico, senza che questo invalidi in alcun modo la realtà del dualismo e la necessità del culto attraverso cui il principio benefico combatte la sua battaglia. Ed è significativo che i teologi che devono fissarne la strategia siano i rappresentanti di una scienza, la virologia, che non ha un luogo proprio, ma si situa al confine fra la biologia e la medicina.» (Giorgio Agamben La medicina come religione. Quodlibet)
André Comte-Sponville, filosofo materialista, razionalista e umanista, è un ex allievo dell’École normale supérieure de la rue d’Ulm, dove conobbe e fu amico di Louis Althusser. «Filosofare, scrive Comte-Sponville, è pensare la propria vita e vivere il proprio pensiero». Sul piano epistemologico, Comte-Sponville è vicino al razionalismo critico di Karl Popper mente in politica Comte-Sponville si definisce socialdemocratico o liberale di sinistra. Non spera nello Stato per creare la ricchezza, né sul mercato per creare la giustizia. André Comte-Sponville in un’intervista al giornale belga « Le Temps » intitolata «Laissez-nous mourir comme nous voulons!» (“Lasciateci morire come vogliamo!”) denuncia il fatto che in Francia “ci si preoccupi sempre più di salute e sempre meno di libertà.[…] l’ordine sanitario rimpiazzi l’ordine morale […] si affondi nel sanitariamente corretto come ci siamo inabbissati nel politicamente corretto […] la salute rappresenta un bene, forse anche supremo, ma non un valore che deve regolare le nostre società e le nostre decisioni politiche […] e seguendo nuovamente l’insegnamento di Montaigne, afferma che lo scopo dell’esistenza non è di evitare di soffrire ma di approfittare della vita e di rallegrarsene’’ Anche dirà: “Deploro il pan-medicalismo, questa ideologia che attribuisce tutto il potere alla medicina (Deploro il pan-medicalismo, questa ideologia che attribuisce tutto il potere alla medicina) …L’incertezza è sempre stata il nostro destino. La lotta tra umanità e microbi non è nuova e questa malattia non è la fine del mondo. Nei tempi antichi, era anche peggio.( L’incertitude est notre destin, depuis toujours. Le combat entre l’humanité et les microbes ne date pas d’hier, et cette maladie n’est pas la fin du monde.)
Fine prima parte
seconda parte il 27 maggio
Apostolos Apostolou
Scrittore e Prof. di Filosofia