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DISOCCUPAZIONE METROPOLITANA

DISOCCUPAZIONE METROPOLITANA

E’ un bel pomeriggio di metà febbraio e l’orologio batte le cinque. I tavoli del caffè di Portogruaro incastrato tra latteria e tabacchi sono in buona parte occupati: nonne e nipotini, studenti in pausa e signore con microscopici cagnetti al seguito che sorseggiano spremute. Fuori dal locale, accanto ai portabiciclette, passa Monica, indigena 29enne dai tratti mediterranei. Sta tornando a casa, dopo una giornata dedicata a un percorso di mobilità formativa su tecniche di gestione commerciale e social marketing. Laureata in lingue e letterature straniere con il massimo dei voti e forte di un Erasmus ad Alicante, anche lei è una dei tanti appartenenti alla fascia tra i 24 e i 30 anni costretti a battagliare per un’occupazione. Molti sono giovani formati, ansiosi di raggiungere l’indipendenza economica e pensare al futuro. Ma l’ormai pluriennale recessione non da tregua.

Agli indicatori economici che saltuariamente sfornano dati su aumento e calo dell’occupazione nel Nord-Est, fa eco il racconto di alcuni residenti della Città Metropolitana di Venezia e delle aree limitrofe, persi nella corsa tra Cercalavoro recapitati via mail, code davanti alle agenzie di somministrazione e progetti targati Garanzia Giovani.

SCUOLA E LAVORO: DUE MONDI LONTANI

Uno dei problemi principali è la discrasia tra l’attuale formazione universitaria, specie in campo umanistico, e il mercato del lavoro.

«Mentre studiavo non mi aspettavo che la mia laurea si rivelasse così poco concreta: da sola non permette nemmeno di accedere all’insegnamento. – spiega Monica – Qualche tempo fa mi sono proposta come stagista presso un’azienda e m’hanno detto che non avrebbero saputo come collocarmi perché non ne so abbastanza di amministrativo, commerciale o marketing».

Insomma, pare che i curricula scolastici siano incompleti o troppo generici. Dopo cinque anni di studio, le nuove leve non hanno ancora raggiunto le competenze richieste dai loro potenziali datori di lavoro. In alcuni casi, devono ricorrere a integrazioni curriculari – con le conseguenti e costose iscrizioni ai corsi singoli – per potersi inserire nel girone infernale delle graduatorie e dei concorsi pubblici. Ma gli ostacoli che affrontano quelli più vicini ai fatidici “enta” non si fermano qui.

«In tanti m’hanno detto che, mentre io e i miei compagni eravamo all’università, in Italia è approdata della forza lavoro madrelingua che ci ha soppiantati. – continua Monica – Inoltre, chi ha ventotto o ventinove anni si trova in una situazione di mezzo: da un lato, inizia a perdere punti rispetto ai più giovani, che possono essere assunti più agevolmente tramite i contratti di apprendistato; dall’altro, non ha la stessa esperienza di quelli con qualche anno in più, in particolare se si tratta di lavorare in azienda. E’ veramente sconfortante».

COSTI E PRETESE

Sudore versato sui manuali, sacrifici, gavette post-lauream pluriennali per stipendi da fame o, in alcuni casi, non retribuite e…si torna al punto di partenza. Una possibilità è insistere sulla formazione, in particolare quella di alto livello. Qui, però, suonano due campanelle d’allarme: i master sono costosi e accessibili solo per chi beneficia di un consistente supporto familiare, mentre i tirocini organizzati dalle agenzie del lavoro, quando non sono riservati ai diplomati, costringono ad allontanarsi dal proprio percorso di studi. Il gioco vale la candela? Secondo Enrico, 26enne di Annone Veneto laureato in Agraria, in un primo momento accettare quel che arriva è invitabile.

«Oggi il lavoro è duro e non viene ben remunerato, quindi, per ora, non penso troppo ai miei desideri o bisogni. – afferma – Dopo un periodo, però, credo si possa trovare un equilibrio. Inizialmente, ho notato una certa diffidenza da parte degli imprenditori nei miei confronti, un neo-laureato senza esperienza. Tuttavia, più arricchivo il mio curriculum, più questa diffidenza si allontanava».

Della stessa opinione è Elena, 29enne di Oderzo, laureata in lingue straniere come Monica.

«Sono dell’idea che all’inizio ci si debba adattare e sfruttare ogni possibilità, anche se non esattamente in linea con i propri sogni. – spiega – Questo per fare più esperienza possibile e avere in seguito la possibilità di canalizzare le proprie energie in ambiti che sono più vicini al proprio sentire. Tuttavia, quello che ho riscontato negli anni è la quasi impossibilità di soddisfare i requisiti richiesti dalle aziende in termini di esperienza e preparazione. Inoltre, è molto difficile trovare realtà disposte a formare le figure richieste, anche con contratti di stage o apprendistato».

Quindi, il mercato esige figure sempre più preparate, ma non vuole sobbarcarsi i costi per mantenerle e, in caso di bisogno, preferisce puntare sui propri dipendenti, istruiti alla veloce con qualche corso. L’alternativa per chi non riesce a provvedere da solo alla propria formazione, è adattarsi a svolgere attività lontane dai propri interessi o maturare esperienze e risparmi con qualche lavoretto saltuario. Ecco, però, che casca il palco: chi assume non vede di buon occhio nemmeno l’eccesso di micro-attività.

«Per le aziende il mio curriculum vitae è poco appetibile, perché esigono esperienze di lungo periodo, almeno oltre i cinque mesi se ci riferiamo al settore impiegatizio. – ricorda Monica – Anche la stagione estiva da alcuni viene vista bene, da altri no. Poco tempo fa ho partecipato a un colloquio per un posto da commessa. La persona con cui ho parlato mi ha detto di aver apprezzato il fatto che avessi lavorato a Bibione, ma allo stesso tempo preferiva che i candidati presentassero esperienze di durata superiore ai sei mesi. E non scordiamo che anche l’accesso allo stagione non è più così scontato: il titolare del negozio in cui ho lavorato io cercava una persona di bella presenza, con esperienza e che conoscesse inglese, tedesco, francese e russo. Troppo in una persona sola».

AGENZIE DI SOMMINISTRAZIONE E GARANZIA GIOVANI

Giovani lavoroMa, allora, cos’è meglio? Accettare qualsiasi lavoro passi sotto mano e seguire la corrente? Insistere sulla formazione a costo di farlo gratis o a proprie spese? In entrambi i casi, un modo per non perdere tempo e risparmiare risorse è tentare l’accesso ai percorsi organizzati da Garanzia Giovani. Questi spesso durano qualche mese e consistono in un primo periodo di lezioni e in un secondo di tirocinio presso aziende ed enti accreditati.  Ma qual è l’opinione di chi fruisce dei servizi offerti? E in che modo questi si collocano rispetto al contributo delle agenzie di somministrazione?

La posizione di Enrico è abbastanza dura.

«Ho opinioni diverse a seconda dei soggetti di cui si parla. – chiarisce schematicamente – Garanzia Giovani: nome cortese e fuorviante per sfruttamento giovanile. Agenzie interinali: molto attive e propositive, anche se a loro non interessa tanto che tu trovi un lavoro, quanto aggiungere un “+1” alle persone cui prestano un servizio. Centri per l’impiego: al contrario di quello che tutti dicono, funzionano bene, ma sono in sottorganico e non ti danno sempre un grande servizio».

La pensano un po’ diversamente, invece, Elena e Monica, più positive nel valutare la versione italiana del piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile.

«La maggior parte delle offerte le ho trovate personalmente, soprattutto per poter lavorare nei settori che più mi interessano. L’aiuto delle agenzie interinali è stato minimo. – spiega la prima – Per poter essere preso in considerazione da queste è necessario tornarvi più volte e ricordare continuamente che si è alla ricerca di lavoro. Per quanto riguarda Garanzia Giovani, il percorso che sto seguendo mi è stato utile per poter avere accesso a delle realtà che altrimenti non avrei preso in considerazione o nelle quali avrei avuto difficoltà di inserimento».

«Negli anni non mi sono mai serviti a niente né il Centro per l’impiego né altre agenzie interinali del territorio. – si allaccia Monica – Quando ho sentito parlare di Garanzia Giovani mi sono iscritta subito ed è arrivata la proposta di tirocinio gratuito con venti pasti pagati, riservato a laureati tra i ventitré e i ventinove anni. A questo punto, visto che sono al limite, ho deciso di farlo».

LA DISCRIMINAZIONE

Se il mercato del lavoro va in crisi e le occasioni latitano, ogni opportunità si trasforma in oro. Tuttavia, chi fa i colloqui spesso indaga anche la sfera personale degli aspiranti. Si va a discutere di offerte occupazionali e si finisce per parlare di famiglia, delle esperienze umane collezionate durante gli studi oppure delle attuali relazioni affettive. La domanda sorge spontanea: questo può mettere in difficoltà chi risponde? O, peggio, può influire sulla sua sincerità?

«Sicuramente la paura di non essere scelta condiziona le mie risposte, ma fino ad un certo punto: – dichiara Jessica, abitante di Pravisdomini – deve comunque emergere la mia vera personalità, altrimenti non mi sentirei a mio agio a lavorare in un ambiente fingendo tutti i giorni».

La pensa così anche Enrico, che si considera sempre sicuro e sincero quando sostiene i colloqui. Discutere dei propri progetti, però, può essere problematico, soprattutto per le donne.

«Non mi sento libera di essere totalmente me stessa, soprattutto quando devo rispondere a domande che riguardano la mia vita sentimentale. – afferma Elena – Per le donne è un fattore che può pregiudicare l’assunzione».

«Da quando convivo, mi chiedono se voglio fare figli e quanti. – concorda Monica –  L’ultima volta ero scocciata ed ho risposto: “Non ho i soldi per l’auto, secondo te mi metto a fare figli?”. La tutor della Job School che sto frequentando consiglia di scrivere se si è sposate o si hanno figli solo se questi sono almeno alle elementari. Questo perché il datore pensa: “Sono già passati sei anni, ormai di bambini non ne fa più”. Per gli uomini è diverso. In questo caso, è consigliabile evidenziare se si convive o si è sposati: di solito è considerata un’assunzione di responsabilità».

Massimiliano Drigo

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