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Easy to remember, gioie (poche) e dolori di Marina Cvetaeva secondo il duo Ricci/Forte

Easy to remember, gioie (poche) e dolori di Marina Cvetaeva secondo il duo Ricci/Forte

Conoscevamo il duo Ricci/Forte per il suo teatro provocatorio, corrosivo e trasgressivo ed anche in quest’occasione ci aspettavamo qualcosa di simile, ma dobbiamo ammettere che i due “ragazzacci” del teatro italiano stavolta ci hanno stupito.

 Marina Cvetaeva è una poetessa russa dalla vita dura e travagliata, esule per tutta l’Europa dopo la rivoluzione del 1917, moglie di un ufficiale dell’esercito bianco e assolutamente malvista dal regime sovietico. La poetessa, nel lontano 1939, decise di rientrare in Urss per motivi esclusivamente personali nonostante la figlia Ariadna Efron, appena rimpatriata due anni prima, fosse stata spedita in un campo di lavoro. La Cvetaeva desiderava ritrovare il marito Sergjei Efron, che nel frattempo era a sua volta fuggito ed era esule in Spagna. Ma lei, purtroppo, non lo sapeva. Iniziò così una fase durissima della vita dell’artista, che si ritrovò sola e povera, isolata dalla comunità letteraria e confinata in un’isba nel paese di Elabuga. Nell’agosto del 1941, presa dalla disperazione, la poetessa si impiccò nell’ingresso della sua casetta, venendo prestissimo dimenticata.

Per la sua riabilitazione letteraria dovettero passare oltre vent’anni e le sue opere vennero rivalutate solo nel periodo del disgelo, ben dopo la morte di Stalin.

Ora, di tutto questo nella pièce di Ricci/Forte ritroviamo solo alcuni elementi. Non ci sono grandi richiami alla vicenda storica della poetessa, ma di lei si parla in un certo senso sub specie aeternitatis in un monologo sulla libertà duramente conquistata, anche se triste e solitaria.

 Lei, morta a 49 anni, nel corso dello spettacolo si racconta retrospettivamente sulla sedia a rotelle in una vecchiaia immaginaria, ripercorrendo tratti della sua vita e ricordando via via il rapporto con la madre, che forse non la accettava com’era, con i figli ed in particolare con la prima ragazza che parlava con lei solo di poesia e tramite poesie, per citare infine l’epitaffio che la poetessa scrisse, per sè, a vent’anni.

Nella mise en scène, di colore bianco come una camera di ospedale e i vestiti dell’infanzia che lei non amava, oltre alla dimensione senile c’è una bara, chiaro riferimento alla fine dell’avventura terrena, già preannunciata dalla proiezione sullo sfondo di radiografie di ossa: un bacino per generare, un cranio per pensare, una dentatura per nutrirsi e una colonna vertebrale per camminare con la schiena dritta in tempi difficili.

Nell’abbandono di Elabuga la poetessa, lontana dai compromessi con il potere, coltiva la propria solitaria libertà.

Nelle scene finali dello spettacolo la Cvetaeva si alza dalla sedia a rotelle e inizia una danza con la infermiera che la assiste, una specie di valzer che la unisce a lei come se fossero un corpo solo per andare lontano.

Al teatro San Giorgio di Udine per la stagione di Teatro Contatto 36 fino al 30 novembre. Con Anna Gualdo e Liliana Laera.

mtr

 

About Maria Teresa Ruotolo

Nata a Udine nel 1970 vive a Grado. Giornalista Pubblicista dal 2004; Laurea in Scienze Politiche indirizzo politico sociale collaborazione varie: con il Consorzio Agenti Immobiliari per la redazione dell’editoriale di Corriere Casa Nord Est; con Gruppo Sirio per la redazione di articoli pubblicati sul periodico Business Point e altre varie collaborazioni per la redazione di articoli di attualità e politica.

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