Al “Giovanni da Udine”, giovedì 27, il ventesimo convegno “L’uomo planetario”, nel ricordo di padre Ernesto Balducci, ha regalato alla città di Udine le riflessioni di quattro grandi personaggi del nostro tempo.
Ospiti di don Pierluigi Di Piazza, testimoni di umanità come Hélène Yinda, teologa africana, Camerun; Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta;
Raul Vera, vescovo di Santillo, Messico; Pierluigi Onorato, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Balducci di Firenze.
Un convegno incentrato sul valore della memoria che, secondo don Di Piazza, rappresenta un patrimonio di speranza e di contraddizioni, una fondamentale coscienza viva di quella forza che ci spinge verso un futuro più umano. Quattro lunghe e intense dissertazioni sul rapporto tra fede e potere, Dio e uomo, “primi” e “ultimi”, “forti” e “deboli”.
L’analisi di questi temi così attuali parte dalla teologa africana Hélène Yinda, promotrice della candidatura delle donne africane al Nobel per la Pace, che contrappone l’autenticità del patto tra l’ordine di Dio e l’uomo alla “non autenticità” del peccato. L’uomo ha la libertà e la responsabilità nel farsi carico delle tensioni “autentiche” ma anche di quelle “non autentiche”, che lo allontanano da sé stesso sotto il plagio del libero arbitrio giustificando un sistema mondiale incentrato sull’imperialismo planetario dei possidenti, così divergente dal disegno di Dio.
Sulla stessa linea il pensiero di Raul Vera ,vescovo di Santillo in Messico, che racconta la difficilissima convivenza tra Fede e potere richiamando la necessità di aprirsi alle persone e chiudersi al potere, di fare spazio nel proprio cuore all’altro e non alla mera ambizione al prestigio individuale.
Sulla speranza come antidoto alla paura il discorso dell’ex magistrato Pierluigi Onorato. La politica dovrebbe essere l’organizzazione della speranza e la guida delle comunità verso un ethos cosmopolita vicino al “bisogno pratico della vita presente”, citando Benedetto Croce. A partire dalla riconoscimento dei diritti umani nel campo del diritto oggettivo nella seconda metà del Novecento, l’umanità sta cercando di responsabilizzarsi in una comunità di destino rappresentata, ad esempio, dall’embrionale esperienza dell’Unione europea.
A tirare le somme, la voce più attesa, la voce dello Stato e della Sicilia, il marmoreo pensiero di Roberto Scarpinato che si diffonde nel teatro con odore di una realtà ruvida d’angoscia. Un racconto sulla “non autenticità” contrapposta all’uomo “autentico” e fragile, di uno stile sporco di soprusi avverso alla resistenza della legalità e della giustizia. Una città, Palermo, sede di retorica commemorativa e fucina di formazione etica, dove la morte è protagonista e la politica scende a patti con gli assassini, dove i servitori dello Stato sono creatori di senso e memoria, quella memoria che è componente fondamentale dell’etica. Martiri soli, morti che camminano, che aspettano soltanto di essere assassinati, ormai abbandonati dallo Stato, dalla Chiesa, dal potere costituito rappresentato da potenti che hanno scelto il male togliendo ai cittadini tutti il diritto alla fragilità, il diritto all’essere uomini normali. L’etica e la scelta della legalità sono l’unica via per il riscatto di un collettivo frammentato dal potere e, come dice la scritta affissa alle porte di una cattedrale in Brasile: “Il mondo si divide tra oppressori e oppressi. Tu, cristiano, che stai per entrare, da che parte stai?”
Federico Gangi
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