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Il Werther di Massenet al Teatro Verdi di Trieste

Il Werther di Massenet al Teatro Verdi di Trieste

Recensione – Difficile fare un Werther senza Werther. Il nuovo allestimento del Verdi di Trieste avrebbe più di un motivo d’interesse, non fosse che il protagonista Mickael Spadaccini annaspa al di sotto del livello di galleggiamento. Emissione forzata che si traduce in un canto impreciso nell’intonazione e sconnesso nella linea, piattezza espressiva e musicale. Terzo e quarto atto vanno leggermente meglio dei primi due ma nella sostanza l’esito non cambia. E un po’ ci si immalinconisce scorrendo la cronologia del programma di sala che ricorda i tempi in cui, allo stesso Verdi, l’opera di Jules Massenet veniva affidata a grandissimi artisti.

È un peccato perché il resto funziona egregiamente. Su tutti svetta Olesya Petrova la quale è una Charlotte notevolissima: voce di bel colore, omogenea ed ampia, fraseggio e musicalità di tutto rispetto. La Petrova è inoltre attrice assai consapevole e misurata.

Non meno interessante la prova di Christopher Franklin, direttore capace di disegnare una narrazione vivida e tesa senza sacrificare la qualità del suono, anzi, scovando dettagli ed impasti che spesso rimangono nell’ombra o peggio impantanati nella melassa in cui certa tradizione deteriore affoga Massenet, magari pensando di valorizzarlo. Ancora una volta l’orchestra del Verdi suona egregiamente, sia per compattezza e bellezza delle sonorità, sia negli interventi dei singoli.

Non delude nemmeno la bravissima Elena Galitskaya che canta ed interpreta Sophie con freschezza, forte di una vocalità perfettamente sostenuta e proiettata. Nella correttezza Ilya Silchukov, Albert non indimenticabile ma nemmeno censurabile. All’altezza Ugo Rabec (Le Bailli) mentre Alessandro D’Acrissa e Dario Giorgelè sono rispettivamente uno Schmidt e un Johann di alto profilo. Giuliano Pelizon e Silvia Verzier svolgono con diligenza il loro compito. Bene si comportano i “Piccoli Cantori della Città di Trieste” preparati da Cristina Semeraro.

Lo spettacolo firmato da Giulio Ciabatti (regia) e Aurelio Barbato (scene) si inserisce nel solco di una rassicurante tradizione: nessuno stravolgimento drammaturgico e una recitazione convenzionale ma, ad eccezione del rigido protagonista, abbastanza curata. L’impianto generale ha una sua eleganza ed è ben realizzato, soffre qua e là di una certa staticità ma nel complesso convince. Il quarto atto è senza dubbio il momento più indovinato e coinvolgente. Belli e funzionali al contesto i costumi di Lorena Marin, non lascia il segno il disegno luci di Claudio Schmid.

Applausi per tutti che si scaldano all’uscita della Petrova e di Franklin. Qualche fischio dal loggione per Spadaccini.

Paolo Locatelli
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© Riproduzione riservata

About Paolo Locatelli

Giornalista e critico musicale.

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