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Jerzy Stuhr a Udine per le Giornate di Cultura Polacca

Dal 13 al 16 marzo si sono svolte a Udine le Giornate di Cultura Polacca, in ricordo del professor Litwornia, studioso di fama internazionale e docente della locale Università degli Studi per oltre un decennio, una rassegna di arte e cultura organizzata dall’associazione Polonik per la comunità polacca del capoluogo friulano che conta circa 1.700 persone. Nel ricco programma, interessante incontro domenica pomeriggio al cinema Visionario con Jerzy Stuhr, pluripremiato attore cinematografico, attore teatrale e regista, rigorosamente in italiano (anche se i connazionali dell’attore erano in maggioranza), alla presenza del sindaco di Udine Furio Honsell.

Jerzy Stuhr inizia parlando del suo cognome, di provenienza austriaca. Doppiamente “seguito” quindi dal regime comunista perchè colto e di origini straniere, anche se nato a Cracovia. Forse anche per questo dichiara che nel tempo si è accorto che la sua vera patria è la Mitteleuropa, un Paese che va da Trieste a Cracovia: è qui che si sente davvero a casa. Anche i racconti di vita di Stuhr sono coinvolgenti come il suo cinema. Stranamente, in Polonia è per tutti un attore comico, mentre in Italia lo conosciamo più per le parti drammatiche recitate nei film di Kieslowski: in particolare, “Il fotoamatore” (1979), “Decalogo 10” (1989) e  “Tre colori: film bianco” (1994); un rapporto di collaborazione che ne ha segnato la carriera, durato fino alla morte del maestro. Kieslowski faceva parte di un gruppo di registi che si proponeva di descrivere la situazione della Polonia durante il comunismo: prezzo e danni del regime, soprattutto dal punto di vista morale. E rappresentava un punto di riferimento per tutti: le parole di Kieslowski erano vangelo. Qualche sorriso in più agli spettatori Stuhr lo ha strappato nelle collaborazioni con Moretti, ne “Il Caimano” (2006) e “Habemus Papam” (2011).

Stuhr intrattiene con la sua ironia gli spettatori del Visionario e i suoi aneddoti. Come quella volta al Festival di San Paolo che il regista tedesco di “Goodbye Lenin”, Wolfgang Becker, lo fissa stupefatto confessandogli di avere iniziato a fare cinema grazie a lui. D’altronde proprio quel film ambientato dopo il crollo del muro raccontava di una vecchietta nostalgica del vecchio regime, temi ben noti anche a Stuhr. O quando Kieslowski lo scarta per la parte del marito impotente nel “Decalogo 9” perchè troppo vecchio per pensare all’amore. O quando durante un pranzo con Giovanni Paolo II il papa sofferente si ricorda di averlo visto nella parte di Belzebù e poi lo rassicura, riferendosi anche a se stesso, dicendogli che nessuno si sceglie le parti. Calorosa l’accoglienza e la partecipazione del pubblico del Visionario.

Claudio Trevisan

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