Dal nostro inviato a Trieste
Viva Italia forte ed una/colla spada e col pensier!/Questo suol che a noi fu cuna/tomba sia dello stranier! La Battaglia di Legnano è un grido patriottico, un appello al popolo italiano affinché trovi il coraggio e la forza di ribellarsi al dominio asburgico. L’opera, datata 1849 nacque in un clima politico rovente, infiammato dai motti del 48 e Verdi, particolarmente sensibile alla questione nazionale, volle partecipare a suo modo celebrando il popolo italiano attraverso il racconto di un fatto storico, la battaglia di Legnano appunto, opportunamente romanzata dal librettista Cammarano. Certo non si tratta del miglior Verdi né d’altronde è facile trovare il grande genio del compositore bussetano tra le opere degli anni di galera, fatte salve le poche eccezioni ben note. L’opera non è musicalmente un granché né può giovarsi dell’esplosiva forza teatrale di altri lavori del cigno di Busseto eppure riesce a trasmettere un fiero senso di rivalsa, un sano ottimismo patriottico di cui il popolo italiano avrebbe bisogno oggi più che mai. Poi certo è vero che in taluni momenti la celebrazione dell’italica retorica sfiora il grottesco a causa degli improbabili versi di Cammarano.
Il primo Verdi è in gran parte inattuale, lo è la sua poetica, lo è in ragione della struttura a numeri chiusi tipica dell’opera italiana di prima metà ottocento particolarmente forzata, lo è probabilmente perché lo stile interpretativo per questo repertorio è di fatto fermo agli anni sessanta. Questo non vuol essere un giudizio sul valore artistico del compositore, semplicemente è necessario ed auspicabile un approccio nuovo a queste opere affinché possano essere rese al pubblico nella loro completa potenza teatrale così com’è avvenuto con Mozart, Wagner o con la musica barocca nei decenni scorsi. L’allestimento di Ruggero Cappuccio con scene e costumi di Carlo Savi invece non cerca strade nuove (se non vogliamo illuderci che l’ambientazione in un contesto che esuli dalle indicazioni del libretto rappresenti una regia moderna). L’idea di spostare l’intera vicenda in un museo, quasi a voler catturare il momento in un’istantanea della storia italiana potrebbe essere una carta vincente, purtroppo, complice una regia sommaria e risaputa il gioco non riesce e l’effetto generale non coinvolge. La responsabilità va poi divisa con i cantanti, poco propensi alla cura della resa attoriale.
Dopo l’Anna Bolena inaugurale tornava sul podio dell’orchestra del teatro triestino il maestro Boris Brott il quale ha affrontato la musica di Verdi con spirito fin troppo pragmatico scansando sistematicamente qualsiasi tentativo di colorare o impreziosire la musica e limitandosi al mero accompagnamento al canto, sostenuto nell’occasione al meglio. Dimitra Theodossiou, Lida, è piena di buone intenzioni spesso disattese alla prova dei fatti. Sicuramente va apprezzata la generosità del soprano nel ricercare un canto morbido e rarefatto soprattutto nelle prodezze ad alta quota che la scomodissima scrittura verdiana impone, purtroppo non sempre l’intonazione è impeccabile. Andrew Richards nei non meno scomodi panni di Arrigo se la cava più che degnamente. Anche la parte del tenore è decisamente impervia, tutta giocata sul passaggio con frequenti escursioni in acuto che il cantante affronta con sicurezza. Il baritono Leonardo Lopez Linares, Rolando, si segnala più per la voce bella e sonora che per particolari guizzi interpretativi risolvendo il personaggio (di per sé già poco sfaccettato) in un canto esteriore e stentoreo. Autorevole il Federico Barbarossa di Enrico Giuseppe Iori, positive le parti di fianco.
Paolo Locatelli
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