Ne L’abisso Davide Enia parla della vita e della morte, di un ciclo senza soluzione di continuità che abbraccia ogni individuo. Enia sceglie dunque di raccontare la sua esperienza a Lampedusa come osservatore di sbarchi attraverso gli occhi dei
sommozzatori della Guardia Costiera addestrati a soccorrere in emergenza, i pescatori che nelle reti oltre al pesce trovano corpi, il becchino del paese che si occupa di dare dignità ai morti senza nome e senza identità. Ci sono anche gli abitanti dell’isola obbligati, loro malgrado, ad affrontare un’emergenza inimmaginabile. Poi c’è la storia nella storia, un racconto di famiglia, i legami di sangue che vanno oltre a mille parole inutili. Dove la vita e la morte ancora una volta sono strettamente legate.
Per raccontare questo Enia ha bisogno della parola spesso ricercata nel dialetto siciliano, una lingua madre dai suoni rassicuranti, della musica (Giulio Barocchieri lo affianca sul palco con le antiche melodie dei pescatori) ma anche dei gesti che guidano e danno il ritmo alla parola stessa. .
Un testo ancorato alla realtà, che non si chiede neppure se le spiegazioni o le soluzioni al dramna debbano arrivare dalla politica. Lo testimonia il sommozzatore che confida al narratore di non avere idee molto a sinistra, eppure di fronte ai naufraghi pensa solo a salvare vite.
Lunghissimi gli applausi per Enia che con gesti e parole ha saputo rendere vivo il dramma in modo più efficace rispetto a immagini e notizie passate in tv. Un racconto struggente che ha bisogno di sedimentare, con calma, nell’anima di chi lo ascolta.
Andato in scena al Teatro Palamostre di Udine per Teatro Contatto.