Un prima e un dopo. Sono questi i movimenti in cui si articola la vita delle persone che si trovano a dover affrontare un lutto. Da una parte la vita con la persona cara, dall’altra la vita nuova segnata da un vuoto incolmabile, dall’assenza della persona ormai defunta. Lucia Calamaro con La vita ferma – Sguardi sul dolore del ricordo andato in scena nei giorni scorsi al Palamostre di Udine per Contatto 36 analizza lo stretto legame tra la vita e la morte, e l’approccio dei vivi nei confronti di chi non c’è più. Non parla del morire ma della necessità del ricordo da parte di chi resta. Un dramma in tre atti che racconta una famiglia come tante, Simona la madre danzatrice che ama il sole e i vestiti a fiori, Riccardo il padre, storico e la figlia Alice che disegna mostri. Sulle loro vite banali si insinuerà la morte di Simona, non vista, ma percepita nelle parole, negli sguardi e nelle preghiere di Riccardo e Alice che chiedono qualche giorno, qualche ora, qualche minuto in più. C’è una casa diventata troppo grande, da svuotare di cose, materiali e immateriali. Riccardo riempie degli scatoloni bianchi e dialoga con Simona o meglio con il suo spettro che non vuole essere dimenticato. I frammenti di una vita assieme vengono piano piano ricomposti fin dal primo incontro al planetario. Splendida la scena in cui Simona getta sul palco una scaola di biglie colorate che lo invadono come le stelle invadono il cielo di notte, stelle che rappresentano i morti. Poi la vita che continua il lavoro, la figlia, la malattia, la morte e infine il lutto. La parte finale si svolge in cimitero dove padre e la figlia ormai cresciuta sono alla ricerca della tomba della madre. Qui il ricordo di Simona è sbiadito, forse l’oblio del lutto è necessario per sopravvivere o forse l’oblio è una giustificazione che le persone si danno per relegare i morti in posti lontano dagli occhi.
Il testo coinvolge e gli attori, Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua, bravissimi, cercano continuamente un’interazione con gli spettatori a cui fanno domande sulla loro vita sulle loro sensazioni. Perchè è inutile negarlo, la vicenda di Simona, Riccardo e Alice appartiene a tutti. Non c’è differenza tra il dolore rappresentato dalla Calamaro (drammaturga, vincitrice del premio Ubu) e il dolore che si può provare nella vita vera. Se l’intenzione dell’autrice era quello di scuotere le coscienze su un argomento spesso rifiutato, beh ci è riuscita benissimo.
Applausi a scena aperta sono stati tributati agli attori. Da non perdere.
Maria Teresa Ruotolo