Una grande serata, questa al teatro Miela, con un’artista internazionale che riassume con la sua musica diverse provenienze e diverse culture, un vero miscuglio di stili che ha per filo conduttore la sua affascinante e bellissima voce. C’è chi l’ha definita “la Patti Smith del Nordafrica” e chi si è spinto ad azzardare analogie addirittura con Billie Holiday. La critica internazionale la inserisce in una prestigioso elenco di paragoni musicali che comprendono Beth Gibbons dei Portishead, le sonorità di Manu Chao e quelle di Norah Jones.
Hindi Zahra è minuta, il volto incorniciato dai lunghi capelli neri. Appena avvicina le labbra al microfono l’orecchio si tende con dolcezza in modo irresistibile catturato da melodie originali, sostenute da accenti gitani o da un cenno di blues mentre il tempo si sospende in un’intimità poetica sostenuta da un timbro felino difficile da dimenticare.
Per lei la musica è una questione di famiglia e un po’ il romanzo della sua vita. Nata in Marocco a Khouribga, a 15 anni si trasferisce in Francia con il padre. Trova lavoro al Louvre e nel frattempo scrive qualcosa come 50 canzoni. Nel 2009 esordisce con un ep omonimo e l’anno dopo esce il suo primo album registrato in studio dal titolo Handmade, un piccolo gioiello musicale: intimo, essenziale, leggero e che contiene, tra le altre, la straordinaria “Beautiful tango” una ballata con accenti di eterna nostalgia. Un inno all’amore che diventa un successo internazionale.
Un disco capace sia di figurare egregiamente in hit parade sia di raccogliere concordi consensi di critica, come dimostra il Constantin Prix, riconoscimento destinato oltralpe agli esordienti ed il premio Victoires de la musique per il migliore album nella categoria Musiques du monde, tutti e due conferiti nel 2011.
Ad aprile del 2015, cinque anni dopo Handmade, esce il suo secondo album in studio: Homeland, registrato tra un riad di Marrakesh e l’oceano di Essaouira, tra uno studio di registrazione parigino e la città spagnola di Cordoba, seguendo le orme della musica gitana. Ancora più del precedente questo disco è segnato da una spiccata vocazione multiculturale. Ciò vale tanto per l’impianto musicale, frutto di un’alchimia fra tradizioni del luogo nativo e sonorità che spaziano dal jazz al blues, dal flamenco alla bossa nova, quanto per i testi. Hindi Zahra alterna qui con disinvoltura francese, inglese, arabo marocchino e tamazight, lingua dell’etnia berbera di appartenenza.
Con Homeland, Hindi Zahra torna finalmente a casa: “Tornare in Marocco è stato un sollievo per me. E’ uno dei paesi culturalmente più interessanti perché fonde elementi berberi, africani e mediterranei. Ho cominciato a viaggiare nel sud del paese, tra il deserto, le montagne e l’oceano. Questi elementi sono stati la vera espressione del movimento della vita e della sua potenza. Questo viaggio è stato la più pura forma di ispirazione per me, la musica ha sempre viaggiato mentre le radici sono le basi del nostro spirito e della nostra immaginazione”.
Dopo svariati tour internazionali e la partecipazione all’album tributo per Nina Simone “Au tour de Nina”, Hindi Zahra può dirsi dunque artista compiuta. A maggior ragione considerando anche l’attività parallela di attrice che l’ha portata a recitare sul grande schermo in “The Cut” di Fatih Akin, presentato nel 2014 alla Mostra del Cinema di Venezia, e “Itar el-Layl” di Tala Hadid.
LUCA MONNA