Bevilacqua e Diana si incontrano per studiare il narcisismo. Mettono insieme la loro capacità autorale visionaria per solleticare un argomento tanto attuale quanto controverso della cultura del nostro tempo. Interrogarsi sugli aspetti della vanità e della centralità del sé spinge i due coreografi a elaborare un piano di ricerca attraverso i centri di residenza più significativi in Italia con l’intento di raccogliere materiali, comporre partiture virtuose e virtuali, rintracciare la chiave per conoscere se stessi.
Nell’altro vedo solo me stesso.
L’altro è un riflesso che mi appartiene.
Non è una proiezione la mia, voglio afferrarmi nella sua intimità.
Voglio tutto. Tutto di me.
In questa azione reiterata rischio di essere invasivo e talvolta violento. Cercando me stesso riesco a manipolare l’altro.
Quando parlo non ho nulla da dire. Gesticolo molto e questo, si sa, va di moda. Ogni gesto che va di moda disattende a se stesso.
Il gesto sulla scena è privo di affezione. A tratti, e fuori controllo, cade nell’emotività. Il gesto narcisista è privo di passione e sentimento. Non si traduce mai in azione. Non fa mai una vera rivoluzione.
La nostra è una vicenda mitologica che mostra un incontro mancato.
L’incontro è funzionale ad un piacere immediato, consumato in solitudine.
Ci sono due figure di riferimento: Narciso ed Eco.
Un ragazzo ed una ninfa, entrambi, incapaci di entrare in relazione diretta.
Narciso è seduttivo in quanto non porta Eco a sé.
Lui ama se stesso, lei ama lui ma è ridotta da Era a voce incomprensibile e ripetitiva.
Rimbalzo d’immagine e rimbalzo di suono.
Connettiamo queste ispirazioni alla comunicazione del nostro tempo.
Siamo quasi a nostro agio.
Dal mito arriviamo al selfie ma solo per affermare quanto sia complesso conoscere se stessi.
Il narcisista non ha a che fare con la vanità semplice bensì con la ricerca ossessiva, e infine mortale, di afferrarsi.