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Post-democrazia

Post-democrazia

    Ma tutto è divenuto, non ci sono fatti eterni: cosi come non ci sono verità   assolute. Per conseguenza il filosofare storico è  da ora in poi necessario, e con esso la virtù della modestia.

                                                              F. Nietzsche. Umano troppo umano

È vero che oggi non ci sono più i partiti di una volta. È questo perché oggi viviamo lo stadio della post-democrazia come la chiama Colin Crouch. È la situazione, oltre ogni ideologia e credenza, oltre ogni religione e confini. I partiti della destra della sinistra o di centro sono gruppi (o clubs chiusi) sempre meno legati a visioni del mondo. La morte dei partiti è qui.

Come scrive Alain De Benoist “La dicotomia destra-sinistra viene spesso fatta risalire alla Rivoluzione francese, dimenticando in tal modo che essa è davvero pienamente entrata nel discorso pubblico solo alla fine del XIX secolo. Alla vigilia della Rivoluzione, lo spartiacque principale non oppone la «destra» e la «sinistra», ma un’aristocrazia fondiaria dotata di potere politico e una borghesia mercantile acquisita alle idee liberali. Nessuno, in quell’epoca, difende veramente il popolo… I liberali riprendono quell’idea fondamentalmente moderna consistente nel vedere nello «sradicamento dalla natura e dalla tradizione il gesto emancipatore per eccellenza e l’unica via d’accesso a una società “universale” e “cosmopolita». Benjamin Constant, per citare solo lui, è il primo a celebrare quella disposizione della «natura umana» che induce a «immolare il presente all’avvenire»…Che oggi la «sinistra», nella sua quasi totalità, sia divenuta riformista, che abbia aderito all’economia di mercato, che si sia progressivamente separata dai lavoratori e dalle classi popolari, non è certo una rivelazione. Lo spettacolo della vita politica ne è un’ininterrotta dimostrazione. Per questo, ad esempio, le grida della sinistra sono così deboli nella grande tormenta finanziaria mondiale attuale: semplicemente, essa non è disposta più della destra a prendere le misure che permetterebbero di intraprendere una vera guerra contro l’influenza planetaria della Forma-Capitale. Come osserva Serge Halimi, «la sinistra riformista si distingue dai conservatori per il tempo di una campagna elettorale grazie a un effetto ottico. Poi, quando le è data l’occasione, si adopera a governare come i suoi avversari, a non disturbare l’ordine economico, a proteggere l’argenteria della gente del castello» (Socialismo, nè sinistra nè destra di Alain De Benoist.)

La verità è che nulla sarà più come prima. Nella post-democrazia la situazione politica ed economica esprime una nuova cultura post-industriale e  cultura bancaria, nel senso che i rapporti di produzione e di scambio, la distribuzione dei redditi, le condizioni del lavoro dovranno radicalmente mutare per dar vita ad un turbo –  capitalismo a dimensione planetaria, temperato dall’ intervento dello stato, con molti  poveri e  esclusi.

Lo slogan “nulla sarà come prima” è lo slogan di post-democrazia. Lucca Bacceli analizza il pensiero di Crouch per la nuova regola di post-democrazia e  scrive:  «La postdemocrazia si traduce in un processo di “commercializzazione della cittadinanza” che stravolge lo schema elaborato da T.H. Marshall. Una serie di servizi che costituivano dei diritti garantiti dallo status di cittadini vengono messi sul mercato e gestiti con logica commerciale, anche a prescindere dalla proprietà, pubblica o privata, delle agenzie che li erogano. Un colossale progetto globale di smantellamento del welfare state passa attraverso l’individuazione di successive aree da aprire al mercato ed alla privatizzazione: il WTO è stato istituito precisamente per questo scopo. Crouch rileva che la trasformazione del mercato da strumento a principio assoluto, la trasformazione in merce di ogni bene e servizio, produce effetti perversi anche sul piano strettamente economico. E il fatto che il pubblico si occupi di erogare servizi solo per quella parte residuale degli utenti che non interessa al mercato finisce per degradarne la qualità e di fatto per escludere gli utenti dalla cittadinanza. Questo processo non sarà compiuto “fintanto che la fornitura dell’istruzione, dei servizi sanitari e degli altri servizi tipici del welfare state non saranno subappaltati a estese catene di fornitori privati, così che il governo non sia più responsabile della loro produzione di quanto la Nike lo sia delle scarpe su cui mette il marchio”. Ma già oggi l’ideologia del mercato si traduce nell’affermazione di un modello giacobino che concentra il potere politico al centro senza livelli intermedi di azione politica. Mentre i cittadini perdono potere il processo elettorale democratico si avvicina “a una campagna di marketing basata abbastanza apertamente sulle tecniche di manipolazione usate per vendere prodotti».

La principale causa del declino della democrazia risiede insomma per Crouch nel “forte squilibrio in via di sviluppo tra il ruolo degli interessi delle grandi aziende e quelli di tutti gli altri gruppi”  «Crouch ipotizza alcune misure per contrastare questo processo, senza indulgere nell’utopia: l’abolizione del capitalismo rimane un sogno, il suo ‘dinamismo’ e il suo ‘spirito intraprendente’ sono una risorsa irrinunciabile. Ma è possibile trovare una nuova forma di compromesso della democrazia con gli interessi delle aziende multinazionali così come in passato si sono trovate altre forme di compromesso con le industrie nazionali, e ancor prima con il potere militare e con le Chiese. Questo sarà possibile, fra l’altro, se i cittadini eserciteranno una pressione non solo attraverso i partiti ma sui partiti. In altri termini occorre rovesciare la tendenza dei partiti a “incoraggiare il massimo livello di minima partecipazione”. Quelle in cui aderisce ad alcune proposte istituzionali di Philippe Schmitter non sono forse le migliori pagine del libro di Crouch. Assai più interessante è l’affermazione che occorre “invertire la prospettiva consueta adottata dal mondo politico su cosa sia democrazia e cosa la sua negazione”. Il sistema dei partiti mostra in genere scarso allarme per le pressioni degli interessi economici, mentre insiste sui rischi di antidemocraticità dei nuovi movimenti che si affermano di volta in volta sulla scena. Le “nuove creatività dirompenti all’interno del demos”. Sono invece un antidoto alla postdemocrazia e possono permettere di reindirizzare il malcontento dagli obiettivi e dai capri espiatori dei movimenti reazionari verso le vere cause dei problemi. Per Crouch “c’è bisogno di un mercato aperto dove concorrere a definire identità politiche, che rimanga all’esterno, ma ancora abbastanza vicino, all’arena oligopolistica dei partiti esistenti. […] La politica democratica dunque ha bisogno di un contesto dove i vari gruppi e movimenti facciano sentire le proprie voci in modo energico, caotico e chiassoso: sono loro il vivaio della futura vitalità democratica”. In altri termini, non c’è da scandalizzasi per il conflitto sociale.»

La post-democrazia è un prodotto dell’élite burocratiche, cosi la politica diventa  una storia farsa  e questo perché “la massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’interazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici» Crouch.  Ci troviamo da qualche parte nella parabola discendente della democrazia. Le aziende non sono semplicemente organizzazioni, ma concentrazioni di potere. Ecco perché non esiste oggi una destra o una sinistra politica ma solo élite economiche e élite burocratiche. Oggi cittadini, partiti, suindicati, sono forme passive della democrazia. Oggi sottolinea Crouch «più lo Stato rinuncia ad intervenire sulle vite della gente comune, rendendole indifferenti verso la politica, più facilmente le multinazionali possono mungere, più o meno indisturbate, la collettività…Nel tentativo di diventare il più possibile simili alle aziende private, gli enti pubblici devono anche spogliarsi di un aspetto intrinseco del loro ruolo: la loro autorità. Bisogna notare che questa perdita di autorità non si estende fino a intaccare il centro politico del governo nazionale. In effetti, lunghi dall’arrivare alla sparizione del potere statale sognata dai libertari, lo Stato delle privatizzazioni concentra il potere politico nell’ellissi: un nucleo centrale ristretto che interagisce soprattutto con le élite dei suoi pari nel settore affaristico privato. La cosa funziona così. I poteri minori o intermedi, in particolare le amministrazioni locali, devono trasformare le loro attività secondo il modello acquirente/fornitore tipico del mercato. Il ruolo di potere politico viene quindi risucchiato da esse e spostato al centro. Inoltre il governo centrale privatizza molte delle sue stesse funzioni a consulenti e fornitori di vario genere. Tuttavia rimane un nucleo politico irriducibile che costituisce la componente eletta della democrazia capitalista del Paese, che non può essere svenduta (ma può essere soggetta a compromessi con le lobby) e che esercita il potere ultimo, almeno riguardo alle decisioni se e come privatizzare e appaltare. Questo nucleo diviene sempre più piccolo col progredire delle privatizzazioni, ma non può essere eliminato del tutto, pena il crollo delle nozioni di Stato e democrazia. Più si ha privatizzazione e applicazione del modello mercantile per l’erogazione del servizio pubblico, specie a livello locale, più si deve imporre il modello giacobino di democrazia centralizzata e una cittadinanza senza livelli intermedi di azione politica.». [1]

La sovrastruttura oggi non attinente la politica come rapporti umani ma è il principio fondamentale del denaro. Cosi la sovrastruttura è il denaro. I membri dell’élite delle multinazionali conoscono che il nuovo significato della politica non è l’idea politica ma il denaro. E come dice J. Baudrillard [2] il denaro, nel momento cruciale dell’aumento, viene negato come valore di scambio e trasformato dalladépense”  in un valore di lusso indivisibile. In tal mondo questo diviene omologo all’oggetto unico e indivisibile che è il quadro come segno. Tra il denaro, divenuto materia di lusso per la perdita del suo valore di scambio economico e il quadro divenuto segno di prestigio – cioè elemento di quel corpus limitato costituito dalla pittura – per la perdita del suo valore simbolico si stabilire non più equivalenza, ma una partita aristocratica. Cosi la speculazione rende impossibile l’estensione totale degli scambi reali. Provocando una circolazione istantanea del valore falsa, fulminando il modello economico, la speculazione manda in cortocircuito anche quella catastrofe che sarebbe la commutazione libera di tutti gli scambi. In altre parole viviamo ciò che la rende possibile è la sostituzione mediatica degli eventi, delle idee, della storia, che fa si che più li si scruterà, meglio se ne distingueranno i dettagli per afferrarne le cause più essi cesseranno di esistere più essi cesseranno di essere esistiti. Cosi valori e verità nel metabolismo non sono più come azioni, bensì come forme virtuali. Come diceva Hegel ci troviamo in pieno nella vita in se stessa mobile, di ciò che è morto. Il valore diventa una logica della mercanzia, è lo stadio fattale, che non esiste più equivalenza, nè naturale, non esiste legge del valore, ma solo un’epidemia del post-valore, come esiste un’epidemia della verità come post – verità.  

   Note:

1. Colin Crouch: Post – democracy. Yale University. Press. 2005.
2. Jean Baudrillard: Pour un critique de l’économie politique du signe Ed. Gallimard. Paris 1972.

        Apostolos Apostolou

         Docente di Filosofia

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