Le nuove scritture per la scena ci proiettano nell’attualità, incrociando la storia dell’umanità con tante piccole grandi storie di uomini e donne del nostro tempo. Aleksandros Memetaj, classe 1991, è nato mentre il regime albanese stava collassando, quando la sua vita lo traghettava dai Balcani alla pianura padana, in Veneto. Oggi ha tradotto in racconto scenico la storia della sua famiglia attraverso “Albania casa mia”, la produzione Argot che approda al Teatro Verdi di Pordenone mercoledì 7 novembre, alle 20.45 (lo spettacolo si terrà sul palcoscenico del Teatro) in esclusiva regionale nell’ambito del progetto Nuove scritture. Biglietti disponibili anche online con accesso al sito del Teatro www.comunalegiuseppeverdi.it e in Biglietteria da lunedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.00 tel. 0434.247624.
Sempre mercoledì alle 9.15, con il sostegno di BCC pordenonese e della Regione Friuli Venezia Giulia, lo spettacolo sarà proposto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado nell’ambito del progetto Educational, attore e giovani spettatori si incontreranno prima e dopo lo spettacolo e saranno insieme sul palcoscenico del Teatro per una messa in scena che si preannuncia carica di emozione. Aleksandros Memetaj sarà nelle scuole martedì mattina per anticipare i contenuti dello spettacolo e raccontare il lavoro che sta dietro la creazione di uno spettacolo e poi aprirà un confronto a fine spettacolo.
Allestito con la regia di Giampiero Rappa, premiato nel 2016 al Museo Cervi – Teatro per la Memoria e al Festival Avanguardie 20 30 – Bologna, “Albania casa mia” diverte e commuove, seguendo un duplice filo rosso: quello di un figlio che crescerà lontano dalla terra natìa, e quello di un padre costretto ad affrontare rischi e sacrifici per garantire al bambino un futuro adeguato, in un altro Paese. Lo spettacolo è nato dall’incontro fra il regista Giampiero Rappa – regista e drammaturgo, classe 1973, pluripremiato con testi tradotti in in inglese, francese, tedesco, russo e spagnolo e produzioni internazionali all’attivo – e il giovane autore e attore Aleksandros Memetaj: un monologo che non voleva diventare uno spettacolo di denuncia sociale, ma il racconto della ricerca di una nuova e complessa identità, generato dal rapporto così forte e speciale fra padre e figlio. Un’alchimia capace di rendere questa storia universale. Nello spazio vuoto del palcoscenico che è terra della fantasia senza confini, l’attore è solo, come rinchiuso in un piccolo rettangolo nero su cui sono disegnati i confini dell’Albania, terra abbandonata da un uomo disperato e povero con in braccio un bambino di pochi mesi. Per tutto il tempo Aleksandros rimarrà rinchiuso questo piccolo spazio, riuscendo però a dilatarlo nel territorio di una complessa geografia della memoria. Lo spettacolo è scandito da ritmi coinvolgenti e ci convince a non temere di voltare pagina per ricominciare, anche quando tutto sembra essere perduto. Basta seguire l’intensa prova d’attore di Aleksandros Memetaj per convincersene: la sua voce si divide, per tutto lo spettacolo, in quella del padre e del figlio, protagonisti dello stesso viaggio ma in direzioni opposte. Quasi a riflettere il disorientamento di un uomo intrappolato fra il desiderio della fuga e quello del ritorno, perennemente in quel “mezzo” che appare come “non luogo”, sospeso fra due mondi che attraggono e respingono. L’allestimento scenografico e la regia di Giampiero Rappa creano un contesto che evidenzia, con stile essenziale e semplice, l’isolamento del protagonista: il corpo dell’attore svetta al centro di un tappeto dove è tracciata con il gesso la sagoma della terra d’origine. Aleksandros recita in dialetto padovano, in italiano e in albanese, materializzando i ricordi di persone, luoghi, sapori e odori conosciuti durante il viaggio.